E’ noto che nel 1874 Karl Wernicke dimostra che una lesione nella parte posteriore del lobo temporale sinistro provoca un’afasia sensoriale o di comprensione. Si tratta di una forma di afasia che compromette totalmente o in parte la capacità di riconoscere e produrre frasi di senso compiuto. L’effetto più singolare di questa forma di patologia cerebrale del linguaggio è la cosiddetta anosognosia. Essa consiste nell’incapacità acquisita dai pazienti afasici di riconoscere il loro stato patologico, ovvero di rendersi conto del fatto che i discorsi che producono sono, effettivamente, discorsi privi di tenuta semantica. In effetti, relegati in uno stato che permette loro di produrre parole senza, complementarmente, essere in grado di “controllare” l’uso pertinente di queste, essi finiscono per perdere il significato stesso della prassi linguistica. Essi parlano continuando a produrre frasi senza senso senza mostrare troppa apprensione per l’inefficacia del loro agire. Altrimenti detto, sembrano non solo “sordi” al significato, ma anche estranei a se stessi. Tali dati neuropsicologici sono estremamente interessanti in quanto inducono a riflettere sul fatto che esiste un nesso estremamente specifico tra buon funzionamento della corteccia uditiva (localizzata, appunto, nel lobo temporale) e autocoscienza. Mettendo poi in relazione questi assunti con quelli provenienti dalla filosofia linguistica di fine Settecento (M.-F. Maine de Biran), la psicolinguistica (J. Mehler) e l’audiopsicofonologia (A. Tomatis), siamo indotti ad azzardare l’ipotesi che l’attività uditiva è una facoltà sensibile senza la quale la “natura” umana non sarebbe tale. Se il linguaggio verbale è il “confine” entro e grazie al quale quotidianamente mettiamo a frutto la nostra storia di animali sociali, allora l’udito – che filogeneticamente e ontogeneticamente rende possibile l’instaurarsi di questa “forma di vita” – può verosimilmente essere considerato qualcosa di più di un mero correlato biologico del linguaggio.

Ascolto dunque sono.Coscienza e linguaggio tra afasiologia e audiopsicofonologia

CHIRICO', DONATA
2004-01-01

Abstract

E’ noto che nel 1874 Karl Wernicke dimostra che una lesione nella parte posteriore del lobo temporale sinistro provoca un’afasia sensoriale o di comprensione. Si tratta di una forma di afasia che compromette totalmente o in parte la capacità di riconoscere e produrre frasi di senso compiuto. L’effetto più singolare di questa forma di patologia cerebrale del linguaggio è la cosiddetta anosognosia. Essa consiste nell’incapacità acquisita dai pazienti afasici di riconoscere il loro stato patologico, ovvero di rendersi conto del fatto che i discorsi che producono sono, effettivamente, discorsi privi di tenuta semantica. In effetti, relegati in uno stato che permette loro di produrre parole senza, complementarmente, essere in grado di “controllare” l’uso pertinente di queste, essi finiscono per perdere il significato stesso della prassi linguistica. Essi parlano continuando a produrre frasi senza senso senza mostrare troppa apprensione per l’inefficacia del loro agire. Altrimenti detto, sembrano non solo “sordi” al significato, ma anche estranei a se stessi. Tali dati neuropsicologici sono estremamente interessanti in quanto inducono a riflettere sul fatto che esiste un nesso estremamente specifico tra buon funzionamento della corteccia uditiva (localizzata, appunto, nel lobo temporale) e autocoscienza. Mettendo poi in relazione questi assunti con quelli provenienti dalla filosofia linguistica di fine Settecento (M.-F. Maine de Biran), la psicolinguistica (J. Mehler) e l’audiopsicofonologia (A. Tomatis), siamo indotti ad azzardare l’ipotesi che l’attività uditiva è una facoltà sensibile senza la quale la “natura” umana non sarebbe tale. Se il linguaggio verbale è il “confine” entro e grazie al quale quotidianamente mettiamo a frutto la nostra storia di animali sociali, allora l’udito – che filogeneticamente e ontogeneticamente rende possibile l’instaurarsi di questa “forma di vita” – può verosimilmente essere considerato qualcosa di più di un mero correlato biologico del linguaggio.
2004
88-498-10040
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.11770/162531
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