Il promontorio di Capo Vaticano, situato sul versante tirrenico dell’Arco Calabro tra il Golfo di S. Eufemia e quello di Gioia Tauro, è un alto strutturale delimitato da faglie normali orientate NE-SW, sul lato occidentale (faglia di Tropea) e orientale (faglia di Mileto), e WNW-ESE (faglia di Coccorino) sul lato meridionale (Tortorici & alii, 2003; Ietto & Bernasconi, 2005; Antonioli & alii, 2006).La litologia dell’area risulta uniformemente caratterizzata da un substrato relativo costituito dal complesso granitico del M.te Poro (Unità di Polia-Copanello in Amodio Morelli & alii, 1976; Unità di Stilo in Lorenzoni & Zanettin Lorenzoni, 1979) su cui poggiano, in trasgressione, arenarie a cemento carbonatico di età Tortoniana (Nicotera, 1959).Alla base della trasgressione il substrato granitico si presenta fortemente cataclastico e degradato da antichi processi di weathering (Guzzetta, 1974; Ietto & Ietto, 2004), fino ad assumere l’aspetto di un silt biancastro con diffuse masse argillificate per spessori dell’ordine dei 70-80m (Ietto & Calcaterra, 1988).A partire dal Pleistocene medio, i processi estensionali sono stati accompagnati da un forte sollevamento regionale (Ietto & Bernasconi, 2005; Cucci & Tertulliani, 2006) che, negli ultimi 10.000 anni circa, ha fatto registrare valori di +1,6 mm/a nei dintorni di Capo Vaticano (Antonioli & alii, 2006). Secondo alcuni Autori il veloce sollevamento dell’Arco Calabro è connesso al probabile distacco dello slab ionico in subduzione (Westaway, 1993; Monaco & alii, 1996; Gvitzmann & Nur, 1999), o all’arretramento dello slab stesso (Malinverno & Ryan, 1986; Giunchi & alii, 1996). Entrambe le ipotesi sono comunque proposte come responsabili del fagliamento distensivo, instauratosi perpendicolarmente alla Catena, nonché del rapido sollevamento regionale. Conseguenza diretta di questi fenomeni, nell’area di Capo Vaticano, è rappresentata dalla presenza diffusa di depositi terrazzati marini pleistocenici ubicati a diverse quote (Westaway, 1993; Tortorici & alii, 2003; Ietto & Bernasconi, 2005; Cucci & Tertulliani, 2006).Il contesto strutturale descritto, unito ad osservazioni di terreno, sembrano tuttavia suggerire che, su una direzione OSO-ENE, il substrato cristallino del M.te Poro con le relative coperture sedimentarie neogeniche abbiano assunto una struttura cupolare, con massimi di inarcamento nelle aree che comprendono gli abitati di Zungri, Spilinga, Zaccanopoli, Drapia e Parghelia (Ietto & alii, 2002). Risulta pertanto conseguenziale che la crosta più superficiale ed i terreni di copertura rispondono ai veloci processi di sollevamento crostale con una deformazione estensionale che qui si sviluppa prevalentemente con faglie a basso angolo e strutture a domino associate (Ietto & alii, 2002). Tale interpretazione è in accordo con il modello strutturale proposto da Savage & Varnes (1987) in aree soggette a sollevamento veloce. L’elevato tasso di innalzamento dell’area, causa di un’elevata energia di rilievo, unitamente alla fitta presenza di superfici di taglio di neoformazione e la scarsa consistenza meccanica della copertura sedimentaria miocenica, hanno quindi contribuito a determinare un quadro generale di rapida evoluzione morfo-tettonica di tutto il contesto territoriale.Le maggiori evidenze dei fenomeni franosi sono concentrate tra gli abitati di Drapia e Zaccanopoli nella fascia altimetrica compresa tra i 300 ed i 500m s.l.m., lungo gli orli di due superfici terrazzate (Piano S. Lucia e Piana Careda), orientate Nord-Sud, e separate dall’incisione del Torrente della Grazia. Entrambi i terrazzi vengono disarticolati, parallelamente alla valle, da vistosi trench beanti fino a 15-20m, i quali ribassano l’originaria superficie tabulare da minimi di 10 a massimi di oltre i 40m. Alcune di queste porzioni ribassate, in particolare a Sud di Timpone Aperto, appaiono completamente disarticolate da successive linee di frattura, fino a isolare grossi volumi rocciosi attualmente in condizioni di equilibrio precario lungo il ripido fianco della valle. In corrispondenza di Timpone Aperto, invece, la presenza di scarpate verticali e vistose fessure ribassano porzioni del vecchio terrazzo di almeno 10m, originando una spettacolare morfologia a gradinata.Talvolta la continuità di alcuni trench presenta uno sviluppo verticale anche fino a 100m, con aperture variabili dai 4-5 m alla sommità, fino a circa 2 m alla base. L’ulteriore presenza di fessure, di dimensioni minori, contribuiscono a ribassare l’ammasso roccioso isolato e interessato da diffusa franosità da crollo. Precedenti Autori (Ietto & Calcaterra, 1988) hanno interpretato l’esistenza degli incisi trench come evidenze di dissesti, graniti compresi, al limite tra una tettonica gravitativa post-sollevamento e le deformazioni gravitative profonde, basandosi su osservazioni di carattere morfotettonico. Dalle evidenze di terreno appare invece che i volumi rocciosi disarticolati dalle fessurazioni e dai fenomeni di collasso gravitativo ad esse associate, sembrerebbero limitarsi ai soli terreni di copertura neogenici. Le indagini di campagna, infatti, non hanno evidenziato alcun coinvolgimento del substrato granitico, neanche in corrispondenza delle incisioni più evidenti. Pertanto il comportamento litomeccanico più rigido della copertura sedimentaria miocenica, rispetto al substrato granitico alterato e argillificato, sembrerebbe dare origine a fenomeni di scivolamento di tipo espandimento laterale. Tutti gli scivolamenti osservati risultano concentrati prevalentemente lungo i bordi delle superfici terrazzate ove la pressione confinante risulta minima e, in alcuni casi, sembrano impostarsi lungo le principali superfici di taglio tettonico. Tale caratteristica induce ad ipotizzare che l’innesco dei fenomeni gravitativi può ritenersi successiva all’ultimo sollevamento dell’area, risalente al Plesistocene medio (Ietto & Bernasconi, 2005; Cucci & Tertulliani, 2006). Tuttavia le evidenze di terreno suggeriscono che gli stessi fenomeni hanno avuto riattivazioni anche in tempi recenti, come dimostrano i tagli freschi lungo le pareti di alcuni trench, presenza di diffuse fratture beanti rilevate al suolo, nonché blocchi di arenarie, anche di considerevoli volumetrie, disseminati lungo i versanti. Al fine di avvalorare il modello ipotizzato, è in programma una campagna di misure estensimetriche ed interferometriche finalizzate alla valutazione quantitativa dei movimenti.
Espandimenti laterali nelle coperture neogeniche di Capo Vaticano (Tropea, Calabria)
IETTO, Fabio
Membro del Collaboration Group
;PONTE M.Membro del Collaboration Group
2012-01-01
Abstract
Il promontorio di Capo Vaticano, situato sul versante tirrenico dell’Arco Calabro tra il Golfo di S. Eufemia e quello di Gioia Tauro, è un alto strutturale delimitato da faglie normali orientate NE-SW, sul lato occidentale (faglia di Tropea) e orientale (faglia di Mileto), e WNW-ESE (faglia di Coccorino) sul lato meridionale (Tortorici & alii, 2003; Ietto & Bernasconi, 2005; Antonioli & alii, 2006).La litologia dell’area risulta uniformemente caratterizzata da un substrato relativo costituito dal complesso granitico del M.te Poro (Unità di Polia-Copanello in Amodio Morelli & alii, 1976; Unità di Stilo in Lorenzoni & Zanettin Lorenzoni, 1979) su cui poggiano, in trasgressione, arenarie a cemento carbonatico di età Tortoniana (Nicotera, 1959).Alla base della trasgressione il substrato granitico si presenta fortemente cataclastico e degradato da antichi processi di weathering (Guzzetta, 1974; Ietto & Ietto, 2004), fino ad assumere l’aspetto di un silt biancastro con diffuse masse argillificate per spessori dell’ordine dei 70-80m (Ietto & Calcaterra, 1988).A partire dal Pleistocene medio, i processi estensionali sono stati accompagnati da un forte sollevamento regionale (Ietto & Bernasconi, 2005; Cucci & Tertulliani, 2006) che, negli ultimi 10.000 anni circa, ha fatto registrare valori di +1,6 mm/a nei dintorni di Capo Vaticano (Antonioli & alii, 2006). Secondo alcuni Autori il veloce sollevamento dell’Arco Calabro è connesso al probabile distacco dello slab ionico in subduzione (Westaway, 1993; Monaco & alii, 1996; Gvitzmann & Nur, 1999), o all’arretramento dello slab stesso (Malinverno & Ryan, 1986; Giunchi & alii, 1996). Entrambe le ipotesi sono comunque proposte come responsabili del fagliamento distensivo, instauratosi perpendicolarmente alla Catena, nonché del rapido sollevamento regionale. Conseguenza diretta di questi fenomeni, nell’area di Capo Vaticano, è rappresentata dalla presenza diffusa di depositi terrazzati marini pleistocenici ubicati a diverse quote (Westaway, 1993; Tortorici & alii, 2003; Ietto & Bernasconi, 2005; Cucci & Tertulliani, 2006).Il contesto strutturale descritto, unito ad osservazioni di terreno, sembrano tuttavia suggerire che, su una direzione OSO-ENE, il substrato cristallino del M.te Poro con le relative coperture sedimentarie neogeniche abbiano assunto una struttura cupolare, con massimi di inarcamento nelle aree che comprendono gli abitati di Zungri, Spilinga, Zaccanopoli, Drapia e Parghelia (Ietto & alii, 2002). Risulta pertanto conseguenziale che la crosta più superficiale ed i terreni di copertura rispondono ai veloci processi di sollevamento crostale con una deformazione estensionale che qui si sviluppa prevalentemente con faglie a basso angolo e strutture a domino associate (Ietto & alii, 2002). Tale interpretazione è in accordo con il modello strutturale proposto da Savage & Varnes (1987) in aree soggette a sollevamento veloce. L’elevato tasso di innalzamento dell’area, causa di un’elevata energia di rilievo, unitamente alla fitta presenza di superfici di taglio di neoformazione e la scarsa consistenza meccanica della copertura sedimentaria miocenica, hanno quindi contribuito a determinare un quadro generale di rapida evoluzione morfo-tettonica di tutto il contesto territoriale.Le maggiori evidenze dei fenomeni franosi sono concentrate tra gli abitati di Drapia e Zaccanopoli nella fascia altimetrica compresa tra i 300 ed i 500m s.l.m., lungo gli orli di due superfici terrazzate (Piano S. Lucia e Piana Careda), orientate Nord-Sud, e separate dall’incisione del Torrente della Grazia. Entrambi i terrazzi vengono disarticolati, parallelamente alla valle, da vistosi trench beanti fino a 15-20m, i quali ribassano l’originaria superficie tabulare da minimi di 10 a massimi di oltre i 40m. Alcune di queste porzioni ribassate, in particolare a Sud di Timpone Aperto, appaiono completamente disarticolate da successive linee di frattura, fino a isolare grossi volumi rocciosi attualmente in condizioni di equilibrio precario lungo il ripido fianco della valle. In corrispondenza di Timpone Aperto, invece, la presenza di scarpate verticali e vistose fessure ribassano porzioni del vecchio terrazzo di almeno 10m, originando una spettacolare morfologia a gradinata.Talvolta la continuità di alcuni trench presenta uno sviluppo verticale anche fino a 100m, con aperture variabili dai 4-5 m alla sommità, fino a circa 2 m alla base. L’ulteriore presenza di fessure, di dimensioni minori, contribuiscono a ribassare l’ammasso roccioso isolato e interessato da diffusa franosità da crollo. Precedenti Autori (Ietto & Calcaterra, 1988) hanno interpretato l’esistenza degli incisi trench come evidenze di dissesti, graniti compresi, al limite tra una tettonica gravitativa post-sollevamento e le deformazioni gravitative profonde, basandosi su osservazioni di carattere morfotettonico. Dalle evidenze di terreno appare invece che i volumi rocciosi disarticolati dalle fessurazioni e dai fenomeni di collasso gravitativo ad esse associate, sembrerebbero limitarsi ai soli terreni di copertura neogenici. Le indagini di campagna, infatti, non hanno evidenziato alcun coinvolgimento del substrato granitico, neanche in corrispondenza delle incisioni più evidenti. Pertanto il comportamento litomeccanico più rigido della copertura sedimentaria miocenica, rispetto al substrato granitico alterato e argillificato, sembrerebbe dare origine a fenomeni di scivolamento di tipo espandimento laterale. Tutti gli scivolamenti osservati risultano concentrati prevalentemente lungo i bordi delle superfici terrazzate ove la pressione confinante risulta minima e, in alcuni casi, sembrano impostarsi lungo le principali superfici di taglio tettonico. Tale caratteristica induce ad ipotizzare che l’innesco dei fenomeni gravitativi può ritenersi successiva all’ultimo sollevamento dell’area, risalente al Plesistocene medio (Ietto & Bernasconi, 2005; Cucci & Tertulliani, 2006). Tuttavia le evidenze di terreno suggeriscono che gli stessi fenomeni hanno avuto riattivazioni anche in tempi recenti, come dimostrano i tagli freschi lungo le pareti di alcuni trench, presenza di diffuse fratture beanti rilevate al suolo, nonché blocchi di arenarie, anche di considerevoli volumetrie, disseminati lungo i versanti. Al fine di avvalorare il modello ipotizzato, è in programma una campagna di misure estensimetriche ed interferometriche finalizzate alla valutazione quantitativa dei movimenti.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.