Fin dal suo apparire, il "Salon" parigino era stato determinante per la formazione di un nucleo selezionato di amatori e conoscitori; all’indomani della Rivoluzione, però, assunse una rilevanza fondamentale nel determinare la nascita di un interesse per le arti in una classe fino ad allora pressoché priva di una reale conoscenza della materia. Per gli artisti – liberi dalle costrizioni imposte dall’Accademia ma, nello stesso tempo, maggiormente indifesi rispetto alle dinamiche del mercato – il "Salon" rappresentò, quindi, una nitida linea di confine tra la più nera disperazione e la garanzia di trovare nuovi possibili acquirenti. All'inizio dell'Ottocento, il pubblico dei "Salons", pur ammirando le imponenti composizioni storiche, iniziò a mostrare una maggiore inclinazione verso raffigurazioni più facili e comprensibili che, anche in virtù di una dimensione meno grandiosa, erano quanto mai adatte a decorare gli interni di una borghesia agiata alla ricerca di riconoscimento sociale. Ai raffinatissimi aristocratici immortalati da Pompeo Batoni, da Joshua Reynolds, da Johann Zoffany subentrarono nuove tipologie di collezionisti, acquirenti meno sofisticati, per i quali non era sempre così rilevante possedere pezzi unici e irripetibili. I quadretti di interni – ispirati alla pittura olandese del Seicento – le scene sentimentali alla Marguerite Gérard, le citazioni medioevali della corrente troubadour, senza dimenticare i paesaggi, presero il sopravvento all’interno delle esposizioni e dei circuiti di vendita, in un moltiplicarsi infinito di opere affini e omogenee. Emblema per eccellenza di questo mutamento può essere considerato il ritratto: da esclusivo attributo della nobiltà, diventerà in questo periodo così preponderante e invasivo nei "Salons" da suscitare il biasimo della critica ; e, nel corso del secolo, il proliferarsi del fenomeno non sfuggirà allo sguardo ironico e incisivo di Honoré Daumier. La pittura di storia, pur conservando il proprio ruolo all’interno della gerarchia dei generi, si legò prevalentemente alle grandi commissioni pubbliche, oppure divenne prerogativa di un numero ristretto di ricchi compratori, desiderosi di procurarsi straordinari attestati di riconoscibilità collettiva. Nell’Italia napoleonica si produsse la medesima situazione. Ma soprattutto Milano e Roma si segnalarono immediatamente come capitali indiscusse di un aggiornamento artistico, generato dalla capacità di intendere e interpretare le novità provenienti dalla Francia anche in virtù di dinamiche che avevano reso possibile cambiamenti sociali e l’ascesa di personaggi dalla recente – e, a volte, equivoca – fortuna . A Napoli mancò invece quel dinamismo sociale che altrove aveva determinato l’ascesa di nuove classi e l’affermarsi di inedite tipologie di collezionisti. Qui non emersero, infatti, figure paragonabili al milanese Giovanni Battista Sommariva o al romano Giovanni Raimondo Torlonia, «“grandi camaleonti” di quegli anni burrascosi» – per citare Fernando Mazzocca – che impiegarono il loro ingente patrimonio in investimenti artistici spesso di strepitosa qualità, creando eccezionali raccolte private anche in un affanno di elevazione e affermazione sociale. A Napoli, le più moderne e aggiornate linee collezionistiche furono espresse dalla raccolta di Gioacchino e Carolina Murat . Acquirenti di opere d’arte fin dai primissimi anni dell’Ottocento, si erano immediatamente distinti per la capacità di precorrere gli indirizzi del momento, contribuendo alla diffusione di mode in seguito replicate e riprodotte.

La figura del collezionista tra affermazione sociale e nuovo gusto "borghese"

SCOGNAMIGLIO O.
2009-01-01

Abstract

Fin dal suo apparire, il "Salon" parigino era stato determinante per la formazione di un nucleo selezionato di amatori e conoscitori; all’indomani della Rivoluzione, però, assunse una rilevanza fondamentale nel determinare la nascita di un interesse per le arti in una classe fino ad allora pressoché priva di una reale conoscenza della materia. Per gli artisti – liberi dalle costrizioni imposte dall’Accademia ma, nello stesso tempo, maggiormente indifesi rispetto alle dinamiche del mercato – il "Salon" rappresentò, quindi, una nitida linea di confine tra la più nera disperazione e la garanzia di trovare nuovi possibili acquirenti. All'inizio dell'Ottocento, il pubblico dei "Salons", pur ammirando le imponenti composizioni storiche, iniziò a mostrare una maggiore inclinazione verso raffigurazioni più facili e comprensibili che, anche in virtù di una dimensione meno grandiosa, erano quanto mai adatte a decorare gli interni di una borghesia agiata alla ricerca di riconoscimento sociale. Ai raffinatissimi aristocratici immortalati da Pompeo Batoni, da Joshua Reynolds, da Johann Zoffany subentrarono nuove tipologie di collezionisti, acquirenti meno sofisticati, per i quali non era sempre così rilevante possedere pezzi unici e irripetibili. I quadretti di interni – ispirati alla pittura olandese del Seicento – le scene sentimentali alla Marguerite Gérard, le citazioni medioevali della corrente troubadour, senza dimenticare i paesaggi, presero il sopravvento all’interno delle esposizioni e dei circuiti di vendita, in un moltiplicarsi infinito di opere affini e omogenee. Emblema per eccellenza di questo mutamento può essere considerato il ritratto: da esclusivo attributo della nobiltà, diventerà in questo periodo così preponderante e invasivo nei "Salons" da suscitare il biasimo della critica ; e, nel corso del secolo, il proliferarsi del fenomeno non sfuggirà allo sguardo ironico e incisivo di Honoré Daumier. La pittura di storia, pur conservando il proprio ruolo all’interno della gerarchia dei generi, si legò prevalentemente alle grandi commissioni pubbliche, oppure divenne prerogativa di un numero ristretto di ricchi compratori, desiderosi di procurarsi straordinari attestati di riconoscibilità collettiva. Nell’Italia napoleonica si produsse la medesima situazione. Ma soprattutto Milano e Roma si segnalarono immediatamente come capitali indiscusse di un aggiornamento artistico, generato dalla capacità di intendere e interpretare le novità provenienti dalla Francia anche in virtù di dinamiche che avevano reso possibile cambiamenti sociali e l’ascesa di personaggi dalla recente – e, a volte, equivoca – fortuna . A Napoli mancò invece quel dinamismo sociale che altrove aveva determinato l’ascesa di nuove classi e l’affermarsi di inedite tipologie di collezionisti. Qui non emersero, infatti, figure paragonabili al milanese Giovanni Battista Sommariva o al romano Giovanni Raimondo Torlonia, «“grandi camaleonti” di quegli anni burrascosi» – per citare Fernando Mazzocca – che impiegarono il loro ingente patrimonio in investimenti artistici spesso di strepitosa qualità, creando eccezionali raccolte private anche in un affanno di elevazione e affermazione sociale. A Napoli, le più moderne e aggiornate linee collezionistiche furono espresse dalla raccolta di Gioacchino e Carolina Murat . Acquirenti di opere d’arte fin dai primissimi anni dell’Ottocento, si erano immediatamente distinti per la capacità di precorrere gli indirizzi del momento, contribuendo alla diffusione di mode in seguito replicate e riprodotte.
2009
978-88-7431-456-0
Collezionismo
Periodo napoleonico
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.11770/168722
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