Questo lavoro analizza le ambivalenze concettuali delle tre nozioni freudiane di “cultura”, “coscienza morale”, “padre” e si propone come esercizio interpretativo, forse al di là di un rigoroso riscontro testuale, volto a ricollocare questi temi propri della teoria psicoanalitica nell’alveo di una costellazione filosofica. La tesi di fondo è che l’analisi della coscienza morale e la descrizione del suo funzionamento nella forma della imperatività in Freud conferisce robustezza scientifica alla traccia kantiana della moralità come regola costrittiva interiore, ridescrivendone quel carattere interno nei termini biologici di un radicamento genetico e psichico. L’accostamento tra l’analisi freudiana ed il modello kantiano, suggerito dallo stesso Freud, è del resto molto esplicito nella interpretazione marcusiana del rapporto tra libertà e istinti nella psicoanalisi freudiana e si costituisce come l’elemento centrale dell’interesse filosofico per la teoria psicoanalitica, trovando il suo fondamento ultimo nella appartenenza illuministica di stampo kantiano della cultura filosofica freudiana. Il razionalismo freudiano è proprio quello di derivazione illuministica e rappresenta la più evidente, anche se indiretta, traccia della eredità kantiana. A questa interpretazione della maturità morale come esercizio di una razionalità pratica autonoma, imparziale e astrattiva fa riferimento Carol Gilligan, con una intenzione doppiamente critica e decostruttuva nei confronti della teoria psicoanalitica e della teoria morale. Questa visione del soggetto morale assume, secondo Gilligan, in tutti i casi, lo sviluppo maschile come caso paradigmatico. L’obiezione, che Gilligan rivolge in modo particolare alla teoria freudiana ed alla psicologia evolutiva di Kohlberg, può tuttavia essere generalizzata nella più ampia considerazione per cui, dalla teoria morale, variamente declinata, fino alla psicoanalisi freudiana, si fa uso di una nozione di soggettività morale che si pretende definita attraverso schematizzazioni valide universalmente ed universalmente funzionanti, tutte in definitiva riconducibili all’archè dell’autorità come fonte originaria della tracciabilità di confini e limiti, alla ragione/padre, che Kant non esita a trascinare, - assolvendola sul terreno morale, condannandola su quello teoretico -, dinanzi al tribunale delle proprie legittimità e trascendenze e che Freud fissa come punto di irradiazione ambivalente della civiltà stessa. La legge morale kantiana, principio ultimo e inappellabile della coscienza etica, dove si scontrano impulsi occulti e motivazioni apparenti, fantasie di felicità e bisogni della realtà, desideri e regole, si riflette nella immagine freudiana dell’autorità paterna dove l’espansione della potenza distruttiva degli istinti trova l’argine originario, la sponda costrittiva, la regola di contenimento. L’autorità ha per Freud una sua intrinseca duplicità che consiste nel contemporaneo inibire e potenziare, reprimere e canalizzare l’agire, già adombrata nella kantiana tensione irresolubile tra sé desiderativo ed Io imperativo della moralità. Questa fondamentale ambivalenza è rivelata in Freud dalla figura del parricidio in cui si esprime l’interiorizzazione dell’interdetto nella colpa e l’esteriorizzazione, il trasferimento del freno inibitorio nelle regole della convivenza. La stessa ambivalenza si esprime nella relazione complessa, di amore e odio, di rispetto e timore, che la coscienza morale soggettiva delineata da Kant istituisce con la regola imperativa, a totale svantaggio della propria aspettativa di felicità ma con il guadagno della autonomia e della libertà.

L'analisi freudiana della coscienza morale tra libertà e costrizione

CRISPINI, Ines
2013-01-01

Abstract

Questo lavoro analizza le ambivalenze concettuali delle tre nozioni freudiane di “cultura”, “coscienza morale”, “padre” e si propone come esercizio interpretativo, forse al di là di un rigoroso riscontro testuale, volto a ricollocare questi temi propri della teoria psicoanalitica nell’alveo di una costellazione filosofica. La tesi di fondo è che l’analisi della coscienza morale e la descrizione del suo funzionamento nella forma della imperatività in Freud conferisce robustezza scientifica alla traccia kantiana della moralità come regola costrittiva interiore, ridescrivendone quel carattere interno nei termini biologici di un radicamento genetico e psichico. L’accostamento tra l’analisi freudiana ed il modello kantiano, suggerito dallo stesso Freud, è del resto molto esplicito nella interpretazione marcusiana del rapporto tra libertà e istinti nella psicoanalisi freudiana e si costituisce come l’elemento centrale dell’interesse filosofico per la teoria psicoanalitica, trovando il suo fondamento ultimo nella appartenenza illuministica di stampo kantiano della cultura filosofica freudiana. Il razionalismo freudiano è proprio quello di derivazione illuministica e rappresenta la più evidente, anche se indiretta, traccia della eredità kantiana. A questa interpretazione della maturità morale come esercizio di una razionalità pratica autonoma, imparziale e astrattiva fa riferimento Carol Gilligan, con una intenzione doppiamente critica e decostruttuva nei confronti della teoria psicoanalitica e della teoria morale. Questa visione del soggetto morale assume, secondo Gilligan, in tutti i casi, lo sviluppo maschile come caso paradigmatico. L’obiezione, che Gilligan rivolge in modo particolare alla teoria freudiana ed alla psicologia evolutiva di Kohlberg, può tuttavia essere generalizzata nella più ampia considerazione per cui, dalla teoria morale, variamente declinata, fino alla psicoanalisi freudiana, si fa uso di una nozione di soggettività morale che si pretende definita attraverso schematizzazioni valide universalmente ed universalmente funzionanti, tutte in definitiva riconducibili all’archè dell’autorità come fonte originaria della tracciabilità di confini e limiti, alla ragione/padre, che Kant non esita a trascinare, - assolvendola sul terreno morale, condannandola su quello teoretico -, dinanzi al tribunale delle proprie legittimità e trascendenze e che Freud fissa come punto di irradiazione ambivalente della civiltà stessa. La legge morale kantiana, principio ultimo e inappellabile della coscienza etica, dove si scontrano impulsi occulti e motivazioni apparenti, fantasie di felicità e bisogni della realtà, desideri e regole, si riflette nella immagine freudiana dell’autorità paterna dove l’espansione della potenza distruttiva degli istinti trova l’argine originario, la sponda costrittiva, la regola di contenimento. L’autorità ha per Freud una sua intrinseca duplicità che consiste nel contemporaneo inibire e potenziare, reprimere e canalizzare l’agire, già adombrata nella kantiana tensione irresolubile tra sé desiderativo ed Io imperativo della moralità. Questa fondamentale ambivalenza è rivelata in Freud dalla figura del parricidio in cui si esprime l’interiorizzazione dell’interdetto nella colpa e l’esteriorizzazione, il trasferimento del freno inibitorio nelle regole della convivenza. La stessa ambivalenza si esprime nella relazione complessa, di amore e odio, di rispetto e timore, che la coscienza morale soggettiva delineata da Kant istituisce con la regola imperativa, a totale svantaggio della propria aspettativa di felicità ma con il guadagno della autonomia e della libertà.
2013
978-88-6822-115-7
moraltà; soggettività; autorità
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.11770/172182
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