GEOSITO: IL GIACIMENTO FOSSILIFERO DELLA FALESIA PLEISTOCENICA DI VIBO VALENTIA Ietto Fabio*Dipartimento Scienze della Terra – UNICALe-mail: iettofabio@hotmail.comtelefono 0984-493663Sbancamenti stradali, lungo il versante orientale della dorsale collinare Vibo Valentia-Pizzo (Fig.1 e 2), hanno portato in affioramento spettacolari depositi marini inclusi in un’antica falesia datata al Pleistocene infer. (Ietto & Bernasconi, 2005). Lungo il taglio stradale, esposto per oltre 6 km e per un’altezza che varia dai 10 ai 50m, sono ben esposte le rocce metamorfiche di substrato nelle cui fessure restano evidenti ampi e numerosi filoni sedimentari marini (Fig.3), a matrice carbonatica, estremamente ricchi in fossili. Il contesto morfoevolutivo e sedimentario è quello di una trasgressione su una costa alta costituita da metamorfiti di alto grado, in particolare gneiss, appartenenti alla formazione dioritico-kinzingitica Autoch. (Cortese, 1985). La falesia appare quindi impostata in una zona di fagliamento attivo in cui lesioni beanti vengono riempite da carbonati sottomarini, clasti metamorfici e detrito organogeno. Si tratta quindi di un contesto roccioso metamorfico, soggetto a subsidenza e ad elevata energia erosiva e sismotettonica, che viene progressivamente blindato da sedimenti carbonatici marini molto fossiliferi (Fig.4). Sulle porzioni esterne della falesia, inoltre, sono ancora conservate tracce di movimenti in massa quali: frane e valanghe di grossi blocchi dalle metamorfiti che dovevano formare porzione emersa della falesia. Tali fenomeni gravitativi si presentano, in affioramento, come volumi più disorganizzati, costituiti da una corona di blocchi eterometrici (megabrecce) che accompagnano le porzioni centrali più solide (Fig.7). Le evidenze di tale paleoambiente, in affioramento lungo la scarpata, sono costituite da: filoni sedimentari carbonatici lungo lesioni beanti nelle kinzingiti che si seguono fino a oltre 20m in altezza con aperture fino a 1-1,5m; valanghe di detrito (megabrecce) con blocchi di diametro fino a 2,5-3m costituiti esclusivamente da gneiss; paleofrane di spessori osservati fino a 10-15m e ampiezze dei fronti fino a 70-80m. In alcuni casi i depositi calcari, a sollevamento avvenuto, sono stati soggetti a fenomeni di carsismo ipogeo (Fig. 6) che risulta ancora attivo come attestano i rinvenuti condotti aperti (fino a oltre 1m di diametro), le concrezioni calcitiche che li foderano e talvolta la presenza di stillicidi d’acqua ancora apprezzabili.La componente sedimentaria marina, altamente fossilifera, è quindi rappresentata esclusivamente da carbonati che riempiono tutti i vuoti tra gli elementi delle valanghe di detrito; fa da matrice alle brecce ed ai conglomerati eterometrici e principalmente colma, con oltre il 50% d’apporto fossilifero, tutte le discontinuità aperte nelle metamorfiti di scarpata o substrato. In alcuni filoni, con aperture superiori ai 50 cm, sono presenti livelli di detrito organogeno spessi anche oltre il metro, nei quali l’apporto fossilifero è dell’ordine del 90% sul totale del sedimento. Tali accumuli possono essere interpretati come indizi di impulsi di tempesta e/o tsunami (Ietto et alii, 2003). Nelle fessure più sottili, invece, micriti ricche in foraminiferi pelagici (Ietto & Bernasconi, 2005) restano intrappolate nelle kinzingiti di substrato o alla base dei corpi di frana. All’interno dei sedimenti marini, le forme fossilifere riconosciute risultano dominate essenzialmente da (Ietto & Bernasconi, 2005): Echinodermi: con gusci spesso interi, da 1 a oltre 10cm; molti i frammenti di forme maggiori e singoli aculei da 3-4 mm in diametro e oltre 6 cm in lunghezza (frequenti i clipeastri); Brachiopodi: con dimensioni da 1 a 10-12 cm (per lo più Terebratula scillae); Lamellibranchi: a guscio liscio o costato da 0,5 cm a oltre 10 cm (per lo più pettinidi e grosse ostreidi); Coralli: individuali e arboriscenti con coralliti subcentimetrici in spessore (rari); Crostacei e alcuni carapaci pressochè interi; Briozoi: numerosi e di diversa forma (con zoari sia ramificati che laminari); Vermi: policheti e vermetidi in frammenti centimetrici; Incrostanti: di varie forme e dimensioni;Le evidenze dell’affioramento, che qui si propone come geosito per la sua valenza scientifica (vedi pubblicazioni scientifiche in Bibliografia) e spettacolarità didattica, marcano con buona chiarezza una fase regressiva su costa alta interessata da rapida evoluzione geomorfologica e intensa attività sismo-tettonica. Inoltre la sedimentazione carbonatica, ricca di diverse forme di vita marina, esprime un ambiente ad elevata energia, con acque ben ossigenate e temperature di tipo tropicale. La falesia, inoltre, doveva svilupparsi alla terminazione, verso mare, del sistema emerso dell’Unità metamorfica che forma l’impalcatura geologica della dorsale da Vibo Valentia a Pizzo, a sua volta collegata col batolite granitico che costituisce il promontorio di M.te Poro (Fig.8).Volendo riferirsi, infine, a contesti attuali e in aree geograficamente prossime, un buon esempio può trarsi dalle falesie in granitoidi di Capo Vaticano e dalla scogliera di Joppolo, specie per quanto concerne il quadro geomorfologico emerso, la neotettonica e la sismicità, nonchè per la tipologia e la velocità della sedimentazione nel dominio marino adiacente.Pertanto le utilità del geosito possono essere molteplici, tra cui: A) conoscitive e scientifiche: storia geologica del territorio calabrese da trasmettere alle nuove generazioni per via scolare; B) ricerca scientifica: sotto il profilo petrografico, paleontologico e geomorfologico; C) turistiche ed economiche: attrazione di visitatori mediante la realizzazione di un percorso scientifico attrezzato con opportuna tabellonistica.

GEOSITO: FALESIA PLEISTOCENICA DI VIBO VALENTIA

IETTO, Fabio
Writing – Review & Editing
2011-01-01

Abstract

GEOSITO: IL GIACIMENTO FOSSILIFERO DELLA FALESIA PLEISTOCENICA DI VIBO VALENTIA Ietto Fabio*Dipartimento Scienze della Terra – UNICALe-mail: iettofabio@hotmail.comtelefono 0984-493663Sbancamenti stradali, lungo il versante orientale della dorsale collinare Vibo Valentia-Pizzo (Fig.1 e 2), hanno portato in affioramento spettacolari depositi marini inclusi in un’antica falesia datata al Pleistocene infer. (Ietto & Bernasconi, 2005). Lungo il taglio stradale, esposto per oltre 6 km e per un’altezza che varia dai 10 ai 50m, sono ben esposte le rocce metamorfiche di substrato nelle cui fessure restano evidenti ampi e numerosi filoni sedimentari marini (Fig.3), a matrice carbonatica, estremamente ricchi in fossili. Il contesto morfoevolutivo e sedimentario è quello di una trasgressione su una costa alta costituita da metamorfiti di alto grado, in particolare gneiss, appartenenti alla formazione dioritico-kinzingitica Autoch. (Cortese, 1985). La falesia appare quindi impostata in una zona di fagliamento attivo in cui lesioni beanti vengono riempite da carbonati sottomarini, clasti metamorfici e detrito organogeno. Si tratta quindi di un contesto roccioso metamorfico, soggetto a subsidenza e ad elevata energia erosiva e sismotettonica, che viene progressivamente blindato da sedimenti carbonatici marini molto fossiliferi (Fig.4). Sulle porzioni esterne della falesia, inoltre, sono ancora conservate tracce di movimenti in massa quali: frane e valanghe di grossi blocchi dalle metamorfiti che dovevano formare porzione emersa della falesia. Tali fenomeni gravitativi si presentano, in affioramento, come volumi più disorganizzati, costituiti da una corona di blocchi eterometrici (megabrecce) che accompagnano le porzioni centrali più solide (Fig.7). Le evidenze di tale paleoambiente, in affioramento lungo la scarpata, sono costituite da: filoni sedimentari carbonatici lungo lesioni beanti nelle kinzingiti che si seguono fino a oltre 20m in altezza con aperture fino a 1-1,5m; valanghe di detrito (megabrecce) con blocchi di diametro fino a 2,5-3m costituiti esclusivamente da gneiss; paleofrane di spessori osservati fino a 10-15m e ampiezze dei fronti fino a 70-80m. In alcuni casi i depositi calcari, a sollevamento avvenuto, sono stati soggetti a fenomeni di carsismo ipogeo (Fig. 6) che risulta ancora attivo come attestano i rinvenuti condotti aperti (fino a oltre 1m di diametro), le concrezioni calcitiche che li foderano e talvolta la presenza di stillicidi d’acqua ancora apprezzabili.La componente sedimentaria marina, altamente fossilifera, è quindi rappresentata esclusivamente da carbonati che riempiono tutti i vuoti tra gli elementi delle valanghe di detrito; fa da matrice alle brecce ed ai conglomerati eterometrici e principalmente colma, con oltre il 50% d’apporto fossilifero, tutte le discontinuità aperte nelle metamorfiti di scarpata o substrato. In alcuni filoni, con aperture superiori ai 50 cm, sono presenti livelli di detrito organogeno spessi anche oltre il metro, nei quali l’apporto fossilifero è dell’ordine del 90% sul totale del sedimento. Tali accumuli possono essere interpretati come indizi di impulsi di tempesta e/o tsunami (Ietto et alii, 2003). Nelle fessure più sottili, invece, micriti ricche in foraminiferi pelagici (Ietto & Bernasconi, 2005) restano intrappolate nelle kinzingiti di substrato o alla base dei corpi di frana. All’interno dei sedimenti marini, le forme fossilifere riconosciute risultano dominate essenzialmente da (Ietto & Bernasconi, 2005): Echinodermi: con gusci spesso interi, da 1 a oltre 10cm; molti i frammenti di forme maggiori e singoli aculei da 3-4 mm in diametro e oltre 6 cm in lunghezza (frequenti i clipeastri); Brachiopodi: con dimensioni da 1 a 10-12 cm (per lo più Terebratula scillae); Lamellibranchi: a guscio liscio o costato da 0,5 cm a oltre 10 cm (per lo più pettinidi e grosse ostreidi); Coralli: individuali e arboriscenti con coralliti subcentimetrici in spessore (rari); Crostacei e alcuni carapaci pressochè interi; Briozoi: numerosi e di diversa forma (con zoari sia ramificati che laminari); Vermi: policheti e vermetidi in frammenti centimetrici; Incrostanti: di varie forme e dimensioni;Le evidenze dell’affioramento, che qui si propone come geosito per la sua valenza scientifica (vedi pubblicazioni scientifiche in Bibliografia) e spettacolarità didattica, marcano con buona chiarezza una fase regressiva su costa alta interessata da rapida evoluzione geomorfologica e intensa attività sismo-tettonica. Inoltre la sedimentazione carbonatica, ricca di diverse forme di vita marina, esprime un ambiente ad elevata energia, con acque ben ossigenate e temperature di tipo tropicale. La falesia, inoltre, doveva svilupparsi alla terminazione, verso mare, del sistema emerso dell’Unità metamorfica che forma l’impalcatura geologica della dorsale da Vibo Valentia a Pizzo, a sua volta collegata col batolite granitico che costituisce il promontorio di M.te Poro (Fig.8).Volendo riferirsi, infine, a contesti attuali e in aree geograficamente prossime, un buon esempio può trarsi dalle falesie in granitoidi di Capo Vaticano e dalla scogliera di Joppolo, specie per quanto concerne il quadro geomorfologico emerso, la neotettonica e la sismicità, nonchè per la tipologia e la velocità della sedimentazione nel dominio marino adiacente.Pertanto le utilità del geosito possono essere molteplici, tra cui: A) conoscitive e scientifiche: storia geologica del territorio calabrese da trasmettere alle nuove generazioni per via scolare; B) ricerca scientifica: sotto il profilo petrografico, paleontologico e geomorfologico; C) turistiche ed economiche: attrazione di visitatori mediante la realizzazione di un percorso scientifico attrezzato con opportuna tabellonistica.
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