Le analisi che si concentrano sui migranti solo come ‘immigrati’ sono parziali perché le migrazioni riflettono percorsi talmente articolati, frutto di esperienze di vita passate e continue trasformazioni in grado di attivare ulteriori consolidamenti nei contesti di arrivo prescelti. Essere situati o autoposizionarsi, comporta l’adesione o meno a determinati programmi e interessi politici e comporta anche che spazi di oppressione e spazi di resistenza possano a volte coincidere a seconda di chi attiva lo sguardo [Lo Verde, Cappello: 2007]. L’ipotesi da cui si parte in questo contributo è che la presupposta vulnerabilità degli stranieri a seguito di attraversamenti migratori anche ben progettati e desiderati, va messa a fuoco prudentemente per non ridurre le argomentazioni soltanto a situazioni di disagio e vessazioni, rischiando di raccontare i migranti con caratteristiche così simili da renderli fondamentalmente tutti uguali. Il formarsi del progetto migratorio, generato da molteplici fattori, è talmente complesso che non può essere ridotto ad un modello statico in cui il migrante appare in ogni circostanza una vittima stretta tra situazioni sfavorevoli e inganni. Proprio con questo approccio sarà utilizzato il punto di vista micro di donne straniere intervistate attraverso il metodo qualitativo, illustrando la loro propensione ad emigrare indotta da tensioni nella famiglia d’origine, in particolare con il partner, cui a volte si somma la necessità di fronteggiamento - soprattutto se hanno figli - di processi di impoverimento. Nonostante questo quadro, si assume la costruzione di altri discorsi (che non escludono condizioni di difficoltà vissute dagli stranieri nel paese ospite) e si utilizza in riferimento alle donne intervistate, il termine self-empowerment. Ciò sta ad indicare un progetto individuale di emancipazione frutto di un faticoso processo di ricostruzione identitaria capace, per dirla con Sennett, di andare verso un superamento del modello di integrazione subalterna, al punto da ripristinare in queste donne autostima e indipendenza, cruciali nel rapporto tra solidarietà e assistenza in una società di diseguali. Il richiamo del presente contributo è all’importanza di raccontare almeno altre due verità. La prima relativa alla mancata presenza di associazioni di migranti e di associazioni che si occupano in Italia del rafforzamento dei diritti dei migranti, all’interno di protocolli e partnership istituzionali creati su impulso di bandi comunitari e nazionali al fine di creare, rafforzare, consolidare sul territorio italiano, attraverso il metodo della ricerca-azione, reti locali antiviolenza. Le straniere, in alcune regioni italiane, costituiscono il 37% dell’utenza dei centri antiviolenza. La sociologia italiana ha collegato il fenomeno della violenza di genere quasi esclusivamente al tema del patriarcato, trascurando altri aspetti quali la ricostruzione dell’identità (personale e sociale) in uno scenario di ruoli sessuali in mutamento e dunque eludendo spiegazioni della violenza come forza sociale che si manifesta nel vuoto d’identità [Corradi: 2009]. La maggior parte dei soggetti empowered incontrati, sono emigrate da sole e arrivate dopo aver accumulato un notevole bagaglio di esperienze lavorative nel paese di origine, in altri paesi di emigrazione o città italiane. L’altra verità è che le differenze tra la vita da ‘immigrate’ e quella condotta nel paese dal quale provengono, al netto di tutte le difficoltà attuali, restituiscono percorsi individuali in atto i cui esiti lasciano intravedere un accrescimento del potere personale di queste donne. Tale risorsa si riverbera sull’aumento delle possibilità di scegliere e di influire in maniera proattiva sulla propria vita. Un accurato bilancio delle risorse a disposizione prima di partire, alcune costruite su obiettivi fortemente ricercati (il conseguimento di una laurea), anche se non trovano una certa attuazione di aspettative nel nostro paese, non gettano rassegnazione, al contrario creano ribellione rispetto ad un mancato sviluppo, conferendo costantemente una certa dose di progettualità. Aver realizzato qualcosa di fortemente desiderato, emigrare, dopo essersi sganciate da uomini maltrattanti, consente a queste donne di guardare al futuro con rinnovata visione di sé. La violenza di coppia, che per alcune aveva rappresentato il movente per partire, quando si ripresenta in Italia con lo stesso partner connazionale o con uno italiano, viene gestita utilizzando differenti sistemi di valore rispetto al passato e posizioni contrapposte a quelle del partner; tutto avviene all’interno di conflitti costruttivi che non evitano la rottura della relazione e persino la denuncia legale ma tutto accade nell’ambito di una rinnovata identità o contesti culturali differenti. Nelle conclusioni si mostra quanto il lavoro retribuito realizzi autoconsapevolezza, padronanza e autonomia tra le intervistate. Le straniere possiedono redditi personali che molte italiane che subiscono violenza dal partner, ascoltate nel corso di varie ricerche, non possiedono. Una situazione reddituale soddisfacente è motivazione bastante ad allontanarsi da un compagno maltrattante soprattutto, insegnano le donne straniere, quando si hanno figli insieme.

Tra solidarietà e assistenza, self empowerment delle donne migranti che hanno subito violenza di prossimità

GARREFFA, FRANCA
2013-01-01

Abstract

Le analisi che si concentrano sui migranti solo come ‘immigrati’ sono parziali perché le migrazioni riflettono percorsi talmente articolati, frutto di esperienze di vita passate e continue trasformazioni in grado di attivare ulteriori consolidamenti nei contesti di arrivo prescelti. Essere situati o autoposizionarsi, comporta l’adesione o meno a determinati programmi e interessi politici e comporta anche che spazi di oppressione e spazi di resistenza possano a volte coincidere a seconda di chi attiva lo sguardo [Lo Verde, Cappello: 2007]. L’ipotesi da cui si parte in questo contributo è che la presupposta vulnerabilità degli stranieri a seguito di attraversamenti migratori anche ben progettati e desiderati, va messa a fuoco prudentemente per non ridurre le argomentazioni soltanto a situazioni di disagio e vessazioni, rischiando di raccontare i migranti con caratteristiche così simili da renderli fondamentalmente tutti uguali. Il formarsi del progetto migratorio, generato da molteplici fattori, è talmente complesso che non può essere ridotto ad un modello statico in cui il migrante appare in ogni circostanza una vittima stretta tra situazioni sfavorevoli e inganni. Proprio con questo approccio sarà utilizzato il punto di vista micro di donne straniere intervistate attraverso il metodo qualitativo, illustrando la loro propensione ad emigrare indotta da tensioni nella famiglia d’origine, in particolare con il partner, cui a volte si somma la necessità di fronteggiamento - soprattutto se hanno figli - di processi di impoverimento. Nonostante questo quadro, si assume la costruzione di altri discorsi (che non escludono condizioni di difficoltà vissute dagli stranieri nel paese ospite) e si utilizza in riferimento alle donne intervistate, il termine self-empowerment. Ciò sta ad indicare un progetto individuale di emancipazione frutto di un faticoso processo di ricostruzione identitaria capace, per dirla con Sennett, di andare verso un superamento del modello di integrazione subalterna, al punto da ripristinare in queste donne autostima e indipendenza, cruciali nel rapporto tra solidarietà e assistenza in una società di diseguali. Il richiamo del presente contributo è all’importanza di raccontare almeno altre due verità. La prima relativa alla mancata presenza di associazioni di migranti e di associazioni che si occupano in Italia del rafforzamento dei diritti dei migranti, all’interno di protocolli e partnership istituzionali creati su impulso di bandi comunitari e nazionali al fine di creare, rafforzare, consolidare sul territorio italiano, attraverso il metodo della ricerca-azione, reti locali antiviolenza. Le straniere, in alcune regioni italiane, costituiscono il 37% dell’utenza dei centri antiviolenza. La sociologia italiana ha collegato il fenomeno della violenza di genere quasi esclusivamente al tema del patriarcato, trascurando altri aspetti quali la ricostruzione dell’identità (personale e sociale) in uno scenario di ruoli sessuali in mutamento e dunque eludendo spiegazioni della violenza come forza sociale che si manifesta nel vuoto d’identità [Corradi: 2009]. La maggior parte dei soggetti empowered incontrati, sono emigrate da sole e arrivate dopo aver accumulato un notevole bagaglio di esperienze lavorative nel paese di origine, in altri paesi di emigrazione o città italiane. L’altra verità è che le differenze tra la vita da ‘immigrate’ e quella condotta nel paese dal quale provengono, al netto di tutte le difficoltà attuali, restituiscono percorsi individuali in atto i cui esiti lasciano intravedere un accrescimento del potere personale di queste donne. Tale risorsa si riverbera sull’aumento delle possibilità di scegliere e di influire in maniera proattiva sulla propria vita. Un accurato bilancio delle risorse a disposizione prima di partire, alcune costruite su obiettivi fortemente ricercati (il conseguimento di una laurea), anche se non trovano una certa attuazione di aspettative nel nostro paese, non gettano rassegnazione, al contrario creano ribellione rispetto ad un mancato sviluppo, conferendo costantemente una certa dose di progettualità. Aver realizzato qualcosa di fortemente desiderato, emigrare, dopo essersi sganciate da uomini maltrattanti, consente a queste donne di guardare al futuro con rinnovata visione di sé. La violenza di coppia, che per alcune aveva rappresentato il movente per partire, quando si ripresenta in Italia con lo stesso partner connazionale o con uno italiano, viene gestita utilizzando differenti sistemi di valore rispetto al passato e posizioni contrapposte a quelle del partner; tutto avviene all’interno di conflitti costruttivi che non evitano la rottura della relazione e persino la denuncia legale ma tutto accade nell’ambito di una rinnovata identità o contesti culturali differenti. Nelle conclusioni si mostra quanto il lavoro retribuito realizzi autoconsapevolezza, padronanza e autonomia tra le intervistate. Le straniere possiedono redditi personali che molte italiane che subiscono violenza dal partner, ascoltate nel corso di varie ricerche, non possiedono. Una situazione reddituale soddisfacente è motivazione bastante ad allontanarsi da un compagno maltrattante soprattutto, insegnano le donne straniere, quando si hanno figli insieme.
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