Questo libro nasce dai due percorsi di ricerca attraverso i quali sono arrivato al tema del cambiamento tecnologico. Da un lato l'economia industriale, attraverso lo studio delle trasformazioni strutturali avvenute nell'industria italiana negli anni settanta e ottanta e dall'altro l'economia dello sviluppo, con i nuovi problemi posti alle aree arretrate dal cambiamento strutturale dell'economia. I temi attraverso i quali si sviluppa il volume sono due: la relazione tra produttività e progresso tecnico ed il processo di cambiamento strutturale in una economia tecnologicamente dualistica. La prima parte del lavoro vuole verificare i diversi modi attraverso cui il progresso tecnico esercita la sua influenza sulla produttività. Nel primo capitolo, dopo avere esposto i problemi relativi ai dati di impresa utilizzati ed alla definizione delle variabili, viene data una prima lettura delle trasformazioni subite dall'industria italiana. Ne emerge un quadro abbastanza complesso della rete di relazioni che ha dominato i processi di "scrapping" del vecchio capitale e di introduzione di nuove macchine che hanno segnato il cambiamento delle tecniche produttive dell'industria italiana nella seconda metà degli settanta e negli anni ottanta. Il capitolo secondo analizza la performance innovativa della piccola impresa, uno dei punti cruciali della tenuta dell'economia italiana in quella fase, mettendone in evidenza gli elementi di forza e di debolezza. I capitoli terzo e quarto presentano nuovi argomenti teorici e nuove evidenze per la verifica degli effetti del progresso tecnico sulla produttività. Nel fare questo sono partito dalla specificazione della tecnologia, adottando una funzione di produzione neoclassica. Le stime delle funzioni di produzione basate su dati di impresa, tratti dalle indagini del Mediocredito Centrale, assumono o che tutte le imprese agiscano sulla frontiera della produzione e che tutti gli input siano efficientemente utilizzati o che l'inefficienza sia uniformemente distribuita nell'universo delle imprese sotto osservazione. Nella realtà le cose non sono così. Per evitare questo tipo di errore, ho stimato due versioni del modello di produttività che ho definito average-practice technique e best-practice technique. I risultati ottenuti (capitolo quarto) sono attendibili sia per quanto riguarda la prima che la seconda versione. Il ruolo del capitale che, nella prima versione (average-practice) risulta in linea con l'ipotesi neoclassica di un ruolo relativamente marginale del capitale nel processo di crescita della produttività, risulta enfatizzato nel secondo modello (best-practice). Le stime confermano che, particolarmente tra la fine degli anni settanta e gli anni ottanta, in gran parte dei settori manifatturieri italiani nuove tecniche di produzione, basate sulle tecnologie dell'informazione, si sono affermate attraverso l'introduzione di nuovo capitale e di lavoro qualificato. Il capitolo quinto inizia con una presentazione dei problemi posti dal cambiamento tecnologico in una economia caratterizzata da un forte dualismo tecnologico. Viene inoltre mostrato come gli effetti del meccanismo di spiazzamento tecnologico e del cambiamento strutturale dipendano in larga parte dalla capacità della regione tecnologicamente ritardataria di spostare la propria "frontiera della produzione" in modo più rapido della regione avanzata. Nel capitolo sesto si espongono alcune strategie di catching-up seguite da paesi che presentavano un "technology gap" nel confronti di quelli più sviluppati, alcune segnate da successo ed altre da insuccesso per l'impossibilità di raggiungere quella soglia critica minima in grado di innescare un processo cumulativo ascendente. Nel capitolo settimo, dopo una breve esposizione della teoria del technology gap, si definisce il tipo di ritardo tecnologico (demand lag) che costituisce la base della successiva analisi empirica sulla diffusione nel Nord e Sud d'Italia di alcune tecnologie di processo. L'analisi si basa su tecnologie avanzate, non sperimentali, che rappresentano diversi livelli di sofisticazione dell'automazione flessibile della fabbrica (sistemi di macchine a controllo numerico e di disegno e progettazione automatizzati). La stima di un modello epidemico porta a concludere che, anche nelle tecnologie dell'information technology esiste un ritardo nell'imitazione e questo ritardo tende ad allargarsi quanto più si passa dalle imprese multi-regionali alle imprese locali. Emerge un rischio reale che la nuova ondata di innovazioni lasci le regioni ritardatarie in una situazione produttiva ancora più grave di quella precedente. Nel capitolo ottavo vengono avanzate alcune ipotesi sulle spiegazioni del ritardo tecnologico presentato dal Mezzogiorno d'Italia e vengono tratte alcune conclusioni sul carattere microeconomico con cui in quest'area si stanno affrontando i processi di aggiustamento al nuovo paradigma tecnologico. Al contrario, i ritardi sedimentati nella composizione tecnologica, settoriale ed organizzativa dell'industria meridionale costituiscono dei vincoli così pesanti alla crescita che si possono superare solo se vengono messe in moto delle scelte consistenti e delle forze tecnologiche sia sul piano micro che sul piano macroeconomico.

Produttività, progresso tecnico e squilibri regionali

INFANTE, Davide
1992-01-01

Abstract

Questo libro nasce dai due percorsi di ricerca attraverso i quali sono arrivato al tema del cambiamento tecnologico. Da un lato l'economia industriale, attraverso lo studio delle trasformazioni strutturali avvenute nell'industria italiana negli anni settanta e ottanta e dall'altro l'economia dello sviluppo, con i nuovi problemi posti alle aree arretrate dal cambiamento strutturale dell'economia. I temi attraverso i quali si sviluppa il volume sono due: la relazione tra produttività e progresso tecnico ed il processo di cambiamento strutturale in una economia tecnologicamente dualistica. La prima parte del lavoro vuole verificare i diversi modi attraverso cui il progresso tecnico esercita la sua influenza sulla produttività. Nel primo capitolo, dopo avere esposto i problemi relativi ai dati di impresa utilizzati ed alla definizione delle variabili, viene data una prima lettura delle trasformazioni subite dall'industria italiana. Ne emerge un quadro abbastanza complesso della rete di relazioni che ha dominato i processi di "scrapping" del vecchio capitale e di introduzione di nuove macchine che hanno segnato il cambiamento delle tecniche produttive dell'industria italiana nella seconda metà degli settanta e negli anni ottanta. Il capitolo secondo analizza la performance innovativa della piccola impresa, uno dei punti cruciali della tenuta dell'economia italiana in quella fase, mettendone in evidenza gli elementi di forza e di debolezza. I capitoli terzo e quarto presentano nuovi argomenti teorici e nuove evidenze per la verifica degli effetti del progresso tecnico sulla produttività. Nel fare questo sono partito dalla specificazione della tecnologia, adottando una funzione di produzione neoclassica. Le stime delle funzioni di produzione basate su dati di impresa, tratti dalle indagini del Mediocredito Centrale, assumono o che tutte le imprese agiscano sulla frontiera della produzione e che tutti gli input siano efficientemente utilizzati o che l'inefficienza sia uniformemente distribuita nell'universo delle imprese sotto osservazione. Nella realtà le cose non sono così. Per evitare questo tipo di errore, ho stimato due versioni del modello di produttività che ho definito average-practice technique e best-practice technique. I risultati ottenuti (capitolo quarto) sono attendibili sia per quanto riguarda la prima che la seconda versione. Il ruolo del capitale che, nella prima versione (average-practice) risulta in linea con l'ipotesi neoclassica di un ruolo relativamente marginale del capitale nel processo di crescita della produttività, risulta enfatizzato nel secondo modello (best-practice). Le stime confermano che, particolarmente tra la fine degli anni settanta e gli anni ottanta, in gran parte dei settori manifatturieri italiani nuove tecniche di produzione, basate sulle tecnologie dell'informazione, si sono affermate attraverso l'introduzione di nuovo capitale e di lavoro qualificato. Il capitolo quinto inizia con una presentazione dei problemi posti dal cambiamento tecnologico in una economia caratterizzata da un forte dualismo tecnologico. Viene inoltre mostrato come gli effetti del meccanismo di spiazzamento tecnologico e del cambiamento strutturale dipendano in larga parte dalla capacità della regione tecnologicamente ritardataria di spostare la propria "frontiera della produzione" in modo più rapido della regione avanzata. Nel capitolo sesto si espongono alcune strategie di catching-up seguite da paesi che presentavano un "technology gap" nel confronti di quelli più sviluppati, alcune segnate da successo ed altre da insuccesso per l'impossibilità di raggiungere quella soglia critica minima in grado di innescare un processo cumulativo ascendente. Nel capitolo settimo, dopo una breve esposizione della teoria del technology gap, si definisce il tipo di ritardo tecnologico (demand lag) che costituisce la base della successiva analisi empirica sulla diffusione nel Nord e Sud d'Italia di alcune tecnologie di processo. L'analisi si basa su tecnologie avanzate, non sperimentali, che rappresentano diversi livelli di sofisticazione dell'automazione flessibile della fabbrica (sistemi di macchine a controllo numerico e di disegno e progettazione automatizzati). La stima di un modello epidemico porta a concludere che, anche nelle tecnologie dell'information technology esiste un ritardo nell'imitazione e questo ritardo tende ad allargarsi quanto più si passa dalle imprese multi-regionali alle imprese locali. Emerge un rischio reale che la nuova ondata di innovazioni lasci le regioni ritardatarie in una situazione produttiva ancora più grave di quella precedente. Nel capitolo ottavo vengono avanzate alcune ipotesi sulle spiegazioni del ritardo tecnologico presentato dal Mezzogiorno d'Italia e vengono tratte alcune conclusioni sul carattere microeconomico con cui in quest'area si stanno affrontando i processi di aggiustamento al nuovo paradigma tecnologico. Al contrario, i ritardi sedimentati nella composizione tecnologica, settoriale ed organizzativa dell'industria meridionale costituiscono dei vincoli così pesanti alla crescita che si possono superare solo se vengono messe in moto delle scelte consistenti e delle forze tecnologiche sia sul piano micro che sul piano macroeconomico.
1992
88-491-0105-8
Produttività; Progresso tecnico; Modelli di diffusione
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