Abbiamo tergiversato a lungo prima di scrivere questo contributo per il convegno sull’invidia al lavoro, anche se è da diversi anni che la nostra attenzione è stata cattura dal tema delle passioni tristi. Tra i motivi principali che ci hanno spinti a fare un passo al di là del semplice tener d’occhio l’argomento, attraverso i pochi studi comparsi sulle riviste di sociologia del lavoro e dell’organizzazione, vi è quello di voler comprendere, dal 2008 in poi, più da vicino, le dinamiche interne al lavoro cognitivo “istituzionalizzato” nell’Università e quello nelle redazioni giornalistiche, e di farlo reagire con categorie interpretative che a nostro avviso “funzionavano” meglio in termini esplicativi rispetto al consueto kit di strumenti disponibili per analizzare l’organizzazione del lavoro. La scelta di questi due casi di studio è dettata dalla partecipazione diretta di chi scrive ai due ambiti lavorativi, si tratta quindi di una conricerca, condotta in un ambiente “familiare”, consuetudinario, che si è cercato di leggere, di mettere in discussione, con altre lenti. Dicevamo che una prima messa a fuoco sull’invidia at work risale al 2008, non è una data a caso, ma l’anno in cui le università vengono attraversate dal movimento dell’onda, dalla contestazione ai tagli dei fondi e più in generale al sistema universitario “riformato” dalla Gelmini; poi a seguire la storia è nota: riforma Gelmini è diventata legge, ristrutturazione aziendalistica delle università, fine della fase di proteste, riflusso nel privato. A partire da qui ci è sembrato di poter rileggere alcuni comportamenti, apparentemente inspiegabili. Che vi fosse in gioco il potere era indubbio, così come il fatto che la posta in gioco era più ampia di quella espressa nel comune dissenso verso una proposta di legge ritenuta, per molti versi, insensata. Tuttavia era difficile spiegarsi come mai in alcune circostanze prevalevano i confronti d tipo invidioso, efficaci nel boicottare l’azione comune tanto in un’assemblea quanto in un seminario. Nel tentativo di avanzare delle ipotesi abbiamo cercato di mettere in relazione gli effetti che i tagli avevano sul sistema di reclutamento e gli avanzamenti di carriera- le maggiori difficoltà d’accesso, la scarsità delle risorse- con l’acuirsi di comportamenti individualistici segnati dall’invidia e dal rancore. Il secondo passo è stato quello di mettere a confronto il lavoro nelle università con quelle delle redazioni giornalistiche, anche queste connotate da un’alta competitività e attraversate da processi di ristrutturazione e precarizzazione del lavoro cognitivo, al fine di evidenziare somiglianze e differenze. Per analizzare alcuni aspetti, di queste ed altre vicende, ci è sembrato di poter capire di più, di poter guardare con maggiore realismo al comportamento interno alle organizzazioni, volgendo lo sguardo verso l’innominabile invidia, accogliendo l’indicazione del sociologo Paolo De Nardis, di laicizzarla, farla diventare categoria sociologica. Ci siamo chiesti, quindi, quale funzione svolge questa passione triste nelle relazioni umane, come nasce, come si manifesta, quali strategie individuali o collettive vengono adottate: esclusione, fuga, vendetta, compassione. Il percorso conoscitivo è stato di tipo interdisciplinare così come si evince dagli autori a cui ci siamo riferiti. D’altra parte, sarebbe stato limitante guardare ai soli contributi di stampo sociologico o più marcatamente aziendalista. Quello che presentiamo è solo un primo risultato sull’attualità delle passioni tristi nel lavoro cognitivo; il lavoro è solo all’inizio, l’acuirsi della crisi economica infatti offre un punto d’osservazione privilegiato sul tema più vasto della relazione tra emozioni-passioni e funzionamento sociale. Se la seconda globalizzazione è il luogo dell’incerto e della fine della mitologia sviluppista come ne usciranno i commun vice? Quale sarà la nuova grammatica delle passioni? Lo scenario a-venire è quello del comune o piuttosto quello che Benasayag definisce dell’era delle passioni tristi? Di getto verrebbe da dire che dipende da quanto capiremo del nostro passato e quindi del nostro presente, ma anche questa affermazione non è altro che una delle possibili ipotesi da verificare. Una nota sul metodo. A questo lavoro hanno partecipato direttamente ed indirettamente diverse persone anche se non compaiono tra i nomi degli autori. Si tratta di quante/i ci hanno regalato analisi puntuali e/o storie vissute, frammenti sull’invidia a lavoro, facilitandoci nel delineare la fisionomia e la fenomenologia di una passione, foriera di alienazione e disagio, spesso sottaciuta, resa invisibile, nonostante agisca come un acido corrosivo nelle relazioni umane. Questo viaggio nel negativo speriamo possa aprire spazi di riflessione sui lati bui del lavoro, in particolare di quello cognitivo in tempo di crisi.

L’invidia al lavoro: invidiare per competere o per distruggere?

CAPUTO, Paolo;Della Corte E.;Passarelli G.
2011-01-01

Abstract

Abbiamo tergiversato a lungo prima di scrivere questo contributo per il convegno sull’invidia al lavoro, anche se è da diversi anni che la nostra attenzione è stata cattura dal tema delle passioni tristi. Tra i motivi principali che ci hanno spinti a fare un passo al di là del semplice tener d’occhio l’argomento, attraverso i pochi studi comparsi sulle riviste di sociologia del lavoro e dell’organizzazione, vi è quello di voler comprendere, dal 2008 in poi, più da vicino, le dinamiche interne al lavoro cognitivo “istituzionalizzato” nell’Università e quello nelle redazioni giornalistiche, e di farlo reagire con categorie interpretative che a nostro avviso “funzionavano” meglio in termini esplicativi rispetto al consueto kit di strumenti disponibili per analizzare l’organizzazione del lavoro. La scelta di questi due casi di studio è dettata dalla partecipazione diretta di chi scrive ai due ambiti lavorativi, si tratta quindi di una conricerca, condotta in un ambiente “familiare”, consuetudinario, che si è cercato di leggere, di mettere in discussione, con altre lenti. Dicevamo che una prima messa a fuoco sull’invidia at work risale al 2008, non è una data a caso, ma l’anno in cui le università vengono attraversate dal movimento dell’onda, dalla contestazione ai tagli dei fondi e più in generale al sistema universitario “riformato” dalla Gelmini; poi a seguire la storia è nota: riforma Gelmini è diventata legge, ristrutturazione aziendalistica delle università, fine della fase di proteste, riflusso nel privato. A partire da qui ci è sembrato di poter rileggere alcuni comportamenti, apparentemente inspiegabili. Che vi fosse in gioco il potere era indubbio, così come il fatto che la posta in gioco era più ampia di quella espressa nel comune dissenso verso una proposta di legge ritenuta, per molti versi, insensata. Tuttavia era difficile spiegarsi come mai in alcune circostanze prevalevano i confronti d tipo invidioso, efficaci nel boicottare l’azione comune tanto in un’assemblea quanto in un seminario. Nel tentativo di avanzare delle ipotesi abbiamo cercato di mettere in relazione gli effetti che i tagli avevano sul sistema di reclutamento e gli avanzamenti di carriera- le maggiori difficoltà d’accesso, la scarsità delle risorse- con l’acuirsi di comportamenti individualistici segnati dall’invidia e dal rancore. Il secondo passo è stato quello di mettere a confronto il lavoro nelle università con quelle delle redazioni giornalistiche, anche queste connotate da un’alta competitività e attraversate da processi di ristrutturazione e precarizzazione del lavoro cognitivo, al fine di evidenziare somiglianze e differenze. Per analizzare alcuni aspetti, di queste ed altre vicende, ci è sembrato di poter capire di più, di poter guardare con maggiore realismo al comportamento interno alle organizzazioni, volgendo lo sguardo verso l’innominabile invidia, accogliendo l’indicazione del sociologo Paolo De Nardis, di laicizzarla, farla diventare categoria sociologica. Ci siamo chiesti, quindi, quale funzione svolge questa passione triste nelle relazioni umane, come nasce, come si manifesta, quali strategie individuali o collettive vengono adottate: esclusione, fuga, vendetta, compassione. Il percorso conoscitivo è stato di tipo interdisciplinare così come si evince dagli autori a cui ci siamo riferiti. D’altra parte, sarebbe stato limitante guardare ai soli contributi di stampo sociologico o più marcatamente aziendalista. Quello che presentiamo è solo un primo risultato sull’attualità delle passioni tristi nel lavoro cognitivo; il lavoro è solo all’inizio, l’acuirsi della crisi economica infatti offre un punto d’osservazione privilegiato sul tema più vasto della relazione tra emozioni-passioni e funzionamento sociale. Se la seconda globalizzazione è il luogo dell’incerto e della fine della mitologia sviluppista come ne usciranno i commun vice? Quale sarà la nuova grammatica delle passioni? Lo scenario a-venire è quello del comune o piuttosto quello che Benasayag definisce dell’era delle passioni tristi? Di getto verrebbe da dire che dipende da quanto capiremo del nostro passato e quindi del nostro presente, ma anche questa affermazione non è altro che una delle possibili ipotesi da verificare. Una nota sul metodo. A questo lavoro hanno partecipato direttamente ed indirettamente diverse persone anche se non compaiono tra i nomi degli autori. Si tratta di quante/i ci hanno regalato analisi puntuali e/o storie vissute, frammenti sull’invidia a lavoro, facilitandoci nel delineare la fisionomia e la fenomenologia di una passione, foriera di alienazione e disagio, spesso sottaciuta, resa invisibile, nonostante agisca come un acido corrosivo nelle relazioni umane. Questo viaggio nel negativo speriamo possa aprire spazi di riflessione sui lati bui del lavoro, in particolare di quello cognitivo in tempo di crisi.
2011
978-88-906416-0-2
Invidia; Lavoro; Competizione
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.11770/182576
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