La contraddizione è l'esito, sempre possibile benché mai necessario, della struttura logica della specie. Esaltazione dell'incoerenza? Riscoperta postmoderna e reattiva dell'illogico, magari di una qualche forma di espressione «autentica» dell'animo umano? Neanche per idea. Si badi: l'animale che parla non è ostaggio della contraddizione. È condannato a qualcosa di peggio: alla sua cronica gestione. Solo l'espulsione definitiva (o presunta tale) della contraddizione o la sua arrendevole constatazione mirano al lieto fine. Nel primo caso la difesa strenua dell'assolutezza di quel che la filosofia, almeno da Aristotele in poi, chiama «principio di non contraddizione» impedisce di cogliere una caratteristica fondamentale della nostra natura. L'ambivalenza verso quel che attrae e contemporaneamente respinge, che scelgo e nel contempo evito, non è solo il rifugio sentimentale del pretendente che, disperato, urla «odi et amo», quanto la struttura che manifesta l'umano incastro tra biologia e logica. Per meglio dire: l'ambivalenza non è il dente cariato della capacità umana di scegliere ma la sua condizione di possibilità. In questo libro, è opportuno precisarlo, il termine "ambivalenza" non indicherà un fenomeno psicologico ma logico: un animale ambivalente è una forma di vita per cui si dà il problema del vero e del falso. E' un animale che, proprio per questa ragione, di fronte a un'alternativa deve poter considerare veri o falsi entrambi i corni del dilemma. Per avere una prima immagine della questione, facciamo un esempio. Decido di fare una gita in campagna e, come al solito, perdo l'orientamento. Mi ritrovo a un incrocio, privo di qualunque indicazione: un'ampia strada sterrata sale verso destra, mentre un'altra, ricoperta di ghiaia ma molto stretta, scende verso sinistra. Dove andare? Come scelgo quale direzione prendere? Probabilmente valuterò le varie alternative, prenderò in considerazione la possibilità di andare sia a destra (è una strada ampia forse porta a un centro abitato) che a sinistra (la strada è stretta ma più curata). Soprattutto, alla fine delle mie considerazioni, non rimarrò lì impalato ma riuscirò ad andare, magari a caso e tirando una moneta, verso una delle due direzioni. Se avessi una struttura istintuale in grado di fornirmi un orientamento, come quella che regola la migrazione delle rondini o i viaggi oceanici delle testuggini, mi troverei in una situazione completamente diversa. Se la porzione di mondo in cui mi trovo fosse prevista dal mio kit di orientamento biologico, proseguirei senza esitazione il mio cammino. Se, disgraziatamente, finissi in un luogo non contemplato dal mio "GPS genetico", sarei nei guai perché porterebbe a un completo blocco del mio comportamento, la situazione di scacco congelerebbe il mio percorso. Mi ritroverei catapultato dentro un incubo ben illustrato in un caso descritto dalla filosofia medievale e che chiama in causa il cosiddetto "asino di Buridano" (vedremo meglio l'esempio più tardi: cap. III, §9). Posto tra due prati, uno alla sua sinistra e uno alla sua destra, l'animale muore di inedia perché non riesce a scegliere tra due opzioni tra loro equivalenti. L'ambivalenza consente di trovarmi in una situazione peggiore rispetto a quella della rondine: rende il mio cammino incerto e faticoso, sempre alle prese con incertezze di orientamento. L'ambivalenza è però anche la struttura logica che consente di dare rimedio alla mancanza di un istinto specifico che mi dica dove andare. Se nell'asino questo fa cilecca, muore di fame. Se invece sono io a trovarmi di fronte a un incrocio, posso partire dall'idea che neanche sfiora la mente del nostro amico quadrupede: che entrambe le strade portino alla meta o che nessuna delle due lo faccia e che sia necessario, ad esempio, tornare indietro. Ciò non vuol dire, si badi, che la contraddizione sia per la specie dei sapiens più "naturale" del ragionamento fedele ai principi della logica classica. Tutto il contrario: lo sprofondare compiaciuto nelle acque della contraddizione non può che suscitare la più profonda diffidenza. Ben che vada, avremmo a che fare con la versione filosofica del "nessuno è perfetto" di chi, scrollando gaiamente le spalle, taglia corto e impone il proprio punto di vista. E' noto che se "le chiacchiere stanno a zero" parlare spetta ai cannoni. Quando mio padre mi dice urlando che "non è educato urlare!" o qualche capo di Stato proclama che la pace si ottiene solo con la guerra, siamo di fronte a contraddizioni. Questi fenomeni logico-linguistici sono, da un punto di vista filosofico, preziosi perché testimoniano il luogo di emergenza della struttura logica dell'antropologia. Un animale ambivalente è in grado di scegliere e di trovare un'alternativa; per un animale ambivalente, la contraddizione è in perenne agguato perché rappresenta la forma, rappresa e stantìa, della sua capacità di scelta.

Contraddizione e melanconia. Saggio sull'ambivalenza

MAZZEO, Marco
2009-01-01

Abstract

La contraddizione è l'esito, sempre possibile benché mai necessario, della struttura logica della specie. Esaltazione dell'incoerenza? Riscoperta postmoderna e reattiva dell'illogico, magari di una qualche forma di espressione «autentica» dell'animo umano? Neanche per idea. Si badi: l'animale che parla non è ostaggio della contraddizione. È condannato a qualcosa di peggio: alla sua cronica gestione. Solo l'espulsione definitiva (o presunta tale) della contraddizione o la sua arrendevole constatazione mirano al lieto fine. Nel primo caso la difesa strenua dell'assolutezza di quel che la filosofia, almeno da Aristotele in poi, chiama «principio di non contraddizione» impedisce di cogliere una caratteristica fondamentale della nostra natura. L'ambivalenza verso quel che attrae e contemporaneamente respinge, che scelgo e nel contempo evito, non è solo il rifugio sentimentale del pretendente che, disperato, urla «odi et amo», quanto la struttura che manifesta l'umano incastro tra biologia e logica. Per meglio dire: l'ambivalenza non è il dente cariato della capacità umana di scegliere ma la sua condizione di possibilità. In questo libro, è opportuno precisarlo, il termine "ambivalenza" non indicherà un fenomeno psicologico ma logico: un animale ambivalente è una forma di vita per cui si dà il problema del vero e del falso. E' un animale che, proprio per questa ragione, di fronte a un'alternativa deve poter considerare veri o falsi entrambi i corni del dilemma. Per avere una prima immagine della questione, facciamo un esempio. Decido di fare una gita in campagna e, come al solito, perdo l'orientamento. Mi ritrovo a un incrocio, privo di qualunque indicazione: un'ampia strada sterrata sale verso destra, mentre un'altra, ricoperta di ghiaia ma molto stretta, scende verso sinistra. Dove andare? Come scelgo quale direzione prendere? Probabilmente valuterò le varie alternative, prenderò in considerazione la possibilità di andare sia a destra (è una strada ampia forse porta a un centro abitato) che a sinistra (la strada è stretta ma più curata). Soprattutto, alla fine delle mie considerazioni, non rimarrò lì impalato ma riuscirò ad andare, magari a caso e tirando una moneta, verso una delle due direzioni. Se avessi una struttura istintuale in grado di fornirmi un orientamento, come quella che regola la migrazione delle rondini o i viaggi oceanici delle testuggini, mi troverei in una situazione completamente diversa. Se la porzione di mondo in cui mi trovo fosse prevista dal mio kit di orientamento biologico, proseguirei senza esitazione il mio cammino. Se, disgraziatamente, finissi in un luogo non contemplato dal mio "GPS genetico", sarei nei guai perché porterebbe a un completo blocco del mio comportamento, la situazione di scacco congelerebbe il mio percorso. Mi ritroverei catapultato dentro un incubo ben illustrato in un caso descritto dalla filosofia medievale e che chiama in causa il cosiddetto "asino di Buridano" (vedremo meglio l'esempio più tardi: cap. III, §9). Posto tra due prati, uno alla sua sinistra e uno alla sua destra, l'animale muore di inedia perché non riesce a scegliere tra due opzioni tra loro equivalenti. L'ambivalenza consente di trovarmi in una situazione peggiore rispetto a quella della rondine: rende il mio cammino incerto e faticoso, sempre alle prese con incertezze di orientamento. L'ambivalenza è però anche la struttura logica che consente di dare rimedio alla mancanza di un istinto specifico che mi dica dove andare. Se nell'asino questo fa cilecca, muore di fame. Se invece sono io a trovarmi di fronte a un incrocio, posso partire dall'idea che neanche sfiora la mente del nostro amico quadrupede: che entrambe le strade portino alla meta o che nessuna delle due lo faccia e che sia necessario, ad esempio, tornare indietro. Ciò non vuol dire, si badi, che la contraddizione sia per la specie dei sapiens più "naturale" del ragionamento fedele ai principi della logica classica. Tutto il contrario: lo sprofondare compiaciuto nelle acque della contraddizione non può che suscitare la più profonda diffidenza. Ben che vada, avremmo a che fare con la versione filosofica del "nessuno è perfetto" di chi, scrollando gaiamente le spalle, taglia corto e impone il proprio punto di vista. E' noto che se "le chiacchiere stanno a zero" parlare spetta ai cannoni. Quando mio padre mi dice urlando che "non è educato urlare!" o qualche capo di Stato proclama che la pace si ottiene solo con la guerra, siamo di fronte a contraddizioni. Questi fenomeni logico-linguistici sono, da un punto di vista filosofico, preziosi perché testimoniano il luogo di emergenza della struttura logica dell'antropologia. Un animale ambivalente è in grado di scegliere e di trovare un'alternativa; per un animale ambivalente, la contraddizione è in perenne agguato perché rappresenta la forma, rappresa e stantìa, della sua capacità di scelta.
2009
9788874622061
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.11770/185159
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