Ad inizio del suo secondo mandato elettorale, nel 2004, l’amministrazione Bush promise che la riforma migratoria avrebbe rappresentato un’urgente priorità del programma di governo. Tra gli statunitensi convivono quasi quarantamilioni di persone nate all’estero; oltre un quarto di queste sono clandestine; da più di un decennio il numero degli illegal aliens che annualmente entra negli USA è abbondantemente superiore rispetto a quello degli immigrati che, nello stesso lasso di tempo, vi entra regolarmente. La problematicità di tale situazione non consiste soltanto del diffuso dramma sociale e soggettivo cui il dato statistico deve necessariamente essere ricollegato. Infatti, ad un livello d’analisi più profondo, tale situazione, e la storia politica cui essa rimonta, sembrano rimandare a dirimenti questioni della filosofia delle scienze sociali che saranno oggetto di trattazione in questo testo. In particolare, presentiamo una sintetica e mirata ricostruzione storica della vicenda migratoria del paese nordamericano, strutturata sulla base della sua reale dimensione dialettica, consistente della lotta micro-fisica e relazionale per la definizione degli spazi sociali e politici. Quindi, da una parte, prenderemo come riferimento la dimensione della "frontiera" ed il processo di sua apertura e continua ricostruzione: le fughe, gli attraversamenti, l’esodo, e le istanze di emancipazione giocate lungo le coordinate geografiche. Dall’altra, troveremo, invece, l’opposta dimensione reattiva/reazionaria del "confine", che si materializza negli sbarramenti, nelle clausure e stigmatizzazioni, ed in ogni istanza d’imbrigliamento del movimento dei soggetti lungo la loro strada verso l’emancipazione.

bOrder-Disorder. Presupposti d’analisi della riforma migratoria degli Stati Uniti d’America

BUSCEMA, Carmelo
2007-01-01

Abstract

Ad inizio del suo secondo mandato elettorale, nel 2004, l’amministrazione Bush promise che la riforma migratoria avrebbe rappresentato un’urgente priorità del programma di governo. Tra gli statunitensi convivono quasi quarantamilioni di persone nate all’estero; oltre un quarto di queste sono clandestine; da più di un decennio il numero degli illegal aliens che annualmente entra negli USA è abbondantemente superiore rispetto a quello degli immigrati che, nello stesso lasso di tempo, vi entra regolarmente. La problematicità di tale situazione non consiste soltanto del diffuso dramma sociale e soggettivo cui il dato statistico deve necessariamente essere ricollegato. Infatti, ad un livello d’analisi più profondo, tale situazione, e la storia politica cui essa rimonta, sembrano rimandare a dirimenti questioni della filosofia delle scienze sociali che saranno oggetto di trattazione in questo testo. In particolare, presentiamo una sintetica e mirata ricostruzione storica della vicenda migratoria del paese nordamericano, strutturata sulla base della sua reale dimensione dialettica, consistente della lotta micro-fisica e relazionale per la definizione degli spazi sociali e politici. Quindi, da una parte, prenderemo come riferimento la dimensione della "frontiera" ed il processo di sua apertura e continua ricostruzione: le fughe, gli attraversamenti, l’esodo, e le istanze di emancipazione giocate lungo le coordinate geografiche. Dall’altra, troveremo, invece, l’opposta dimensione reattiva/reazionaria del "confine", che si materializza negli sbarramenti, nelle clausure e stigmatizzazioni, ed in ogni istanza d’imbrigliamento del movimento dei soggetti lungo la loro strada verso l’emancipazione.
2007
Migrazioni; Frontiera
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.11770/189169
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