La pubblicazione di questo volume nasce dalla volontà di restituire voce e tradizione alla rivista Quaderni di Linguistica dell’Università della Calabria, su iniziativa del Laboratorio di Fonetica dell’attuale Dipartimento di Lingue e Scienze dell’Educazione, del medesimo ateneo. In quanto tale, l’idea legata al lavoro qui proposto è mossa da una spinta endogena, ma si alimenta e arricchisce delle preziose collaborazioni di esperti e professionisti esterni di ambito linguistico, letterario e non solo, nazionali e internazionali i quali, attraverso i propri preziosi apporti, hanno contribuito a rendere il lavoro poliedrico e denso di nuovi contenuti originali. La tematica filo conduttore dell’intera raccolta si incentra sulla relazione esistente fra oralità e scrittura e sulle rappresentazioni derivative assunte da quest’ultima per veicolare e fissare i contenuti tracciati dalla lingua parlata, con metodologie appartenenti ad ambiti disciplinari eterogenei seppur affini. La dimensione della comunicazione orale, sistema di codificazione primario, differisce dalla lingua scritta per alcuni elementi sostanziali e precipui. In primis, si snoda all’interno di una situazione contingente decisiva per l’atto comunicativo, sorretta dalla copresenza e dalla cooperazione di emittenti e destinatari; la maggiore spontaneità insita negli attanti (con le dovute eccezioni legate ai casi di variabilità diastratica e/o diafasica) sfocia in espressioni linguistiche strutturate in modo lineare ma irreversibile, fatte di ellissi e ripetizioni; fa leva, inoltre, sull’uso di codici paralinguistici, sull’espressione di componenti relative al piano del sentimento e della volontà, dunque, strutture fonico-timbriche soprasegmentali e marche prosodiche, senza tralasciare il ricorso a elementi cinesici e prossemici, unico mezzo, talvolta, di collegamento col referente. La lingua scritta appare, di contro, una trasposizione o rappresentazione rigida e sistematica di quanto nell’oralità avviene su più piani in modo dinamico e simultaneo; riflesso imperfetto della parola, mira a riproporne un ritratto fedele, pur senza raggiungere la compiutezza dell’oggetto originale. Tuttavia, utilizzando un’espressione di saussuriana memoria, non è concepibile «fare astrazione da un procedimento attraverso il quale la lingua è continuamente rappresentata» e che si configura come «unico oggetto permanente e solido, più adatto del suono a garantire l’unità della lingua attraverso il tempo» (Saussure, 1922:461). Il qui presente volume prende vita proprio dall’intento di indagare sui meccanismi soggiacenti alla trasposizione scritta della parola, nelle sue varie forme e in molteplici contesti, gettando uno sguardo su diversi tipi di “trascrizione” della comunicazione orale. Il lavoro è pertanto suddiviso in più sezioni, ciascuna volta ad esplorare differenti funzioni, fini e riadattamenti della scrittura. La prima sezione del volume, dedicata alla Trascrizione del parlato disturbato, si apre con il contributo degli autori Vernero e Romano, i quali analizzano e discutono, in primis, varie proposte di classificazione e trascrizione di parlato patologico in ambito logopedico. Lo studio offre un excursus dettagliato sui fenomeni di alterazione strutturale della catena fonica a livello segmentale (casi di sigmatismo, variazioni di /r/) e soprasegmentale (fenomeni di disfonia e disprosodia), proponendo esempi concreti di trascrizioni volte ad oggettivare la comprensibilità delle produzioni per l’osservazione clinica. Il contributo evidenzia la necessità di ricorrere a convenzioni e strumenti integrati che tengano conto della variazione linguistica e fonetica nelle produzioni, all o scopo di fornire un ausilio concreto e dettagliato nell’interpretazione dei dati a scopo medico. Il successivo saggio, ad opera di Merlino e Bazzanella, si concentra sulla dimensione multimodale del parlato e le componenti contestuali nelle interazioni con pazienti affetti da afasia. Attraverso un’analisi condotta su frammenti di videoregistrazioni di sedute terapeutiche, con particolare attenzione rivolta alla comunicazione non verbale esercitata da gesti (pointing) e orientamento degli sguardi e del corpo, il lavoro rivela il peso della coproduzione collaborativa da parte degli attanti e dimostra l’importanza di una trascrizione di tali eventi, che sia capace di convogliare localizzazione e temporalizzazione di dati linguistici (fonetici e prosodici), extralinguistici e risorse visive. La sezione successiva racchiude tre contributi inerenti a La trascrizione del parlato trasmesso: Miola introduce la tematica con un lavoro che mira a valutare la rivitalizzazione e il riuso in rete di varietà dialettali considerate vulnerabili, nello specifico quelle emiliana, veneta e siciliana. Utilizzando materiale scritto estrapolato da social network, pubblicistica locale e documenti ufficiali di ciascuna regione, l’autore indaga sulla standardizzazione ortografica dei suddetti dialetti, operando una valutazione basata su opportuni modelli di riferimento (vd. Haugen, 1966). I risultati dello studio rivelano fasi eterogenee nel processo di standardizzazione, ma variazione grafica in tutte le comunità considerate, da cui l’autore deduce l’urgenza di incrementare le iniziative locali volte alla rivitalizzazione dialettale, nonché la necessità di una collaborazione attiva fra comunità parlanti, studiosi/linguisti e politiche linguistiche. Il lavoro di Sileo esamina la resa dell’«imitazione della lingua reale» nei dialoghi filmici di due prodotti seriali, uno in lingua originale (italiano), l’altro in «doppiaggese» (dialoghi in italiano riadattati dalla lingua inglese). A questo scopo, l’autrice identifica e compara in ciascun dialogo l’uso e la posizione di pronomi personali, la presenza di segnali discorsivi (fonosimbolismi) e di Question tags. Il ricorso a tali elementi risulta maggiore e più frequente nel linguaggio televisivo americano rispetto a quello italiano, a scapito – in quest’ultimo - di un maggiore effetto di naturalezza e realismo; tuttavia, nel doppiato in lingua italiana si assiste a una sorta di fenomeno d’attrito, per cui la tendenza all’uso delle unità analizzate è maggiore rispetto a quello delle sceneggiature in lingua nazionale. Il parlato trasmesso, cui dedica la propria attenzione Wagih, è quello della chat. L’autrice distingue la presenza di sequenze complementari saluti/saluti, domanda/risposta e appello/risposta, tipiche dell’uso orale, in dialoghi tratti da stanze di chat italiane e ne definisce le caratteristiche peculiari per cui differiscono dalle prime: le sequenze di azione della chat non necessitano di una consequenzialità diretta delle due parti adiacenti; le prime parti, essendo strettamente connesse alla frammentarietà del turno, possono estendersi per più di un turno e ricevere potenzialmente tante risposte quanti gli utenti convolti nel topic. Infine, l’autrice sottolinea un ultimo aspetto legato alle linee conversazionali trattate che, in quanto molteplici, ammettono la presenza di più coppie insite nello stesso canale. Il lavoro di Azzalini introduce la terza parte del volume, consacrata a La trascrizione forense. L’autrice tratta del delicato e complicato passaggio dal codice orale allo scritto, compiuto nella stesura dei brogliacci d’ascolto di captazioni telefoniche e ambientali. Il saggio pone all’attenzione del lettore i problemi legati alla trasposizione in forma scritta operata dal verbalizzante che, agendo da «doppio filtro», può compromettere la comprensibilità del vero significato di quanto trascritto, tralasciando importanti informazioni legate tanto a fattori linguistici (variazione sociolinguistica, prosodia, eventuali disabilità) quanto extralinguistici (espressioni deittiche legate al contesto, riadattamento di discorsi diretti). Sulla stessa scia, il contributo di Romito e Frontera mira a colmare un gap metodologico nelle procedure messe in atto in attività di trascrizione forense, ancora scarsamente normalizzate in contesto nazionale. Utilizzando frammenti estratti da trascrizioni di materiale captato autentico, gli autori propongono alcune linee guida concrete, atte a definire un percorso omologato di approccio tecnico-linguistico al materiale intercettato: l’imprescindibile valutazione dell’intelligibilità del segnale oggetto di perizia; identificazione e traduzione della/e varietà linguistica/che di afferenza degli interlocutori coinvolti; il delineamento dei contesti globali e locali in cui le conversazioni hanno luogo. A questo scopo, si evidenzia il ruolo cruciale rivestito dalle relazioni peritali annesse al materiale trascritto. Nel saggio successivo, gli autori Romito, Tarasi, Ciardullo e Graziano propongono la disambiguazione di frammenti discordanti di trascrizioni forensi (disputed utterances), attraverso la chiave di lettura interpretativa fornita dagli elementi prosodici. Assumendo come parametri di riferimento l’Unità Tonale (T-U) e i diversi gradi di prominenza legati all’organizzazione ritmica dell’enunciato, lo studio dimostra la possibilità di servirsi di tali modelli in fase di trascrizione del sonoro e, grazie all’identificazione e la comparazione di unità d’analisi, giungere a un’interpretazione più attendibile del piano semantico. Il lavoro di Palmerini si inserisce nella sezione intitolata La trascrizione nelle nuove tecnologie. Il contributo prospetta un quadro delle possibili attuazioni e tipologie di trascrizione del parlato registrato – adottabili, fra gli altri, in ambito penale, clinico o scolastico/ universitario - soffermandosi in modo più attento sull’utilità applicativa di sistemi di riconoscimento automatico del parlato (ASR). Questi ultimi, sottolinea l’autrice, impiegati come parte integrante di applicazioni o nell’ambito della resocontazione professionale, risultano oggi strumenti particolarmente vantaggiosi, capaci di sottrarre gran parte del lavoro meccanico di digitazione richiesto agli operatori, e favorire la possibilità di accesso alle informazioni con fruizione multimodale. L’ultima sezione del volume esplora plurime sfaccettature della relazione esistente fra Oralità e scrittura nelle scienze linguistiche e letterarie. Il lavoro di Longobardi e Gravante si inscrive nel dominio strettamente linguistico, sperimentando l’acquisizione di alcune espressioni idiomatiche in studenti apprendenti di italiano L2. Attraverso lezioni preparatorie mirate all’introduzione e la comprensione di espressioni di diverso ambito, il materiale d’analisi è elicitato durante più fasi e sessioni di role-play, tramite metodo induttivo di riformulazione dei testi. Dai risultati ottenuti, emerge una progressiva crescita nell’utilizzo di alcune espressioni entrate a far parte della retorica degli apprendenti, unitamente, in altri casi, al ricorso a una lingua ponte come veicolo di accesso ai significati. Il contributo incoraggia all’utilizzo di azioni glottodidattiche di tale sorta, che consentano ai discenti di «andare oltre il senso letterale [della parola scritta] e di sviluppare la comunicazione e la dimensione linguistica» a livelli più alti ed efficaci. Il contributo di Mayerà introduce il lettore al simbolismo dell’alfabeto arabo, in cui il rapporto fra significante e significato nell’unità della lettera si configura per antonomasia come legame diretto col Verbo e come mezzo trascendente il creato. In particolare, l’autore tratta la questione inerente all’origine di nomi ed etimologie, alla luce di un’opera iconica contemporanea, Il prototipo unico del maestro sufi algerino Ahmad al-‘Alawī, tradotta per la prima volta in lingua italiana. Il saggio successivo affronta un ulteriore aspetto legato alla tradizione letteraria araba. L’autrice Gamal propone un’analisi morfo-fonologica e fonetica di neologismi (nomi di persona e luoghi) introdotti in lingua araba per mezzo di traslitterazione: il lavoro rivela come, nel sopperire all’assenza di foni non nativi delle varietà arabe, molti metodi di «traduzione» tendano a ricorrere sia all’uso di foni articolatoriamente simili, sia a doppi grafemi, indicanti i punti di articolazione contigui fra cui ricade il fono trascritto; non esiste tuttavia un metodo sistematico, ma tendenze diffuse, che mirano a riprodurre esiti accentuali, geminazioni, epentesi e prostesi assenti nella lingua d’arrivo senza ricorrere a trascrizioni fonetiche di arduo accesso al lettore. Il risultato ottenuto è, spesso, la perdita della forma originaria della parola, che si riadatta a regole fonologiche e grafemi interni al sistema della lingua d’arrivo. La sezione è conclusa dal contributo di De Rosa, di natura squisitamente letteraria, dedicato ai versi del Risorgimento albanese di Girolamo de Rada, autore dei Canti storici albanesi di Serafina Thopia, moglie del principe Nicola Ducagino (1839). L’opera esaminata, di genere ispirato alle antiche rapsodie arbëreshe, si configura come una sorta di doppia trasposizione di codice, propaggine di una scrittura nata per essere cantata su base melodica, ma scaturita dai racconti immaginari della principessa d’Arta e i suoi amori, su modello delle poesie popolari orali. Ancora una volta, dunque, l’intreccio fra oralità e scrittura si snoda e prende vita, in una tradizione lunga secoli che, trasversalmente, nel tempo e nello spazio, non smette di affascinare e riunire studiosi di svariati ambiti disciplinari.

LA SCRITTURA ALL’OMBRA DELLA PAROLA

Romito Luciano
2017-01-01

Abstract

La pubblicazione di questo volume nasce dalla volontà di restituire voce e tradizione alla rivista Quaderni di Linguistica dell’Università della Calabria, su iniziativa del Laboratorio di Fonetica dell’attuale Dipartimento di Lingue e Scienze dell’Educazione, del medesimo ateneo. In quanto tale, l’idea legata al lavoro qui proposto è mossa da una spinta endogena, ma si alimenta e arricchisce delle preziose collaborazioni di esperti e professionisti esterni di ambito linguistico, letterario e non solo, nazionali e internazionali i quali, attraverso i propri preziosi apporti, hanno contribuito a rendere il lavoro poliedrico e denso di nuovi contenuti originali. La tematica filo conduttore dell’intera raccolta si incentra sulla relazione esistente fra oralità e scrittura e sulle rappresentazioni derivative assunte da quest’ultima per veicolare e fissare i contenuti tracciati dalla lingua parlata, con metodologie appartenenti ad ambiti disciplinari eterogenei seppur affini. La dimensione della comunicazione orale, sistema di codificazione primario, differisce dalla lingua scritta per alcuni elementi sostanziali e precipui. In primis, si snoda all’interno di una situazione contingente decisiva per l’atto comunicativo, sorretta dalla copresenza e dalla cooperazione di emittenti e destinatari; la maggiore spontaneità insita negli attanti (con le dovute eccezioni legate ai casi di variabilità diastratica e/o diafasica) sfocia in espressioni linguistiche strutturate in modo lineare ma irreversibile, fatte di ellissi e ripetizioni; fa leva, inoltre, sull’uso di codici paralinguistici, sull’espressione di componenti relative al piano del sentimento e della volontà, dunque, strutture fonico-timbriche soprasegmentali e marche prosodiche, senza tralasciare il ricorso a elementi cinesici e prossemici, unico mezzo, talvolta, di collegamento col referente. La lingua scritta appare, di contro, una trasposizione o rappresentazione rigida e sistematica di quanto nell’oralità avviene su più piani in modo dinamico e simultaneo; riflesso imperfetto della parola, mira a riproporne un ritratto fedele, pur senza raggiungere la compiutezza dell’oggetto originale. Tuttavia, utilizzando un’espressione di saussuriana memoria, non è concepibile «fare astrazione da un procedimento attraverso il quale la lingua è continuamente rappresentata» e che si configura come «unico oggetto permanente e solido, più adatto del suono a garantire l’unità della lingua attraverso il tempo» (Saussure, 1922:461). Il qui presente volume prende vita proprio dall’intento di indagare sui meccanismi soggiacenti alla trasposizione scritta della parola, nelle sue varie forme e in molteplici contesti, gettando uno sguardo su diversi tipi di “trascrizione” della comunicazione orale. Il lavoro è pertanto suddiviso in più sezioni, ciascuna volta ad esplorare differenti funzioni, fini e riadattamenti della scrittura. La prima sezione del volume, dedicata alla Trascrizione del parlato disturbato, si apre con il contributo degli autori Vernero e Romano, i quali analizzano e discutono, in primis, varie proposte di classificazione e trascrizione di parlato patologico in ambito logopedico. Lo studio offre un excursus dettagliato sui fenomeni di alterazione strutturale della catena fonica a livello segmentale (casi di sigmatismo, variazioni di /r/) e soprasegmentale (fenomeni di disfonia e disprosodia), proponendo esempi concreti di trascrizioni volte ad oggettivare la comprensibilità delle produzioni per l’osservazione clinica. Il contributo evidenzia la necessità di ricorrere a convenzioni e strumenti integrati che tengano conto della variazione linguistica e fonetica nelle produzioni, all o scopo di fornire un ausilio concreto e dettagliato nell’interpretazione dei dati a scopo medico. Il successivo saggio, ad opera di Merlino e Bazzanella, si concentra sulla dimensione multimodale del parlato e le componenti contestuali nelle interazioni con pazienti affetti da afasia. Attraverso un’analisi condotta su frammenti di videoregistrazioni di sedute terapeutiche, con particolare attenzione rivolta alla comunicazione non verbale esercitata da gesti (pointing) e orientamento degli sguardi e del corpo, il lavoro rivela il peso della coproduzione collaborativa da parte degli attanti e dimostra l’importanza di una trascrizione di tali eventi, che sia capace di convogliare localizzazione e temporalizzazione di dati linguistici (fonetici e prosodici), extralinguistici e risorse visive. La sezione successiva racchiude tre contributi inerenti a La trascrizione del parlato trasmesso: Miola introduce la tematica con un lavoro che mira a valutare la rivitalizzazione e il riuso in rete di varietà dialettali considerate vulnerabili, nello specifico quelle emiliana, veneta e siciliana. Utilizzando materiale scritto estrapolato da social network, pubblicistica locale e documenti ufficiali di ciascuna regione, l’autore indaga sulla standardizzazione ortografica dei suddetti dialetti, operando una valutazione basata su opportuni modelli di riferimento (vd. Haugen, 1966). I risultati dello studio rivelano fasi eterogenee nel processo di standardizzazione, ma variazione grafica in tutte le comunità considerate, da cui l’autore deduce l’urgenza di incrementare le iniziative locali volte alla rivitalizzazione dialettale, nonché la necessità di una collaborazione attiva fra comunità parlanti, studiosi/linguisti e politiche linguistiche. Il lavoro di Sileo esamina la resa dell’«imitazione della lingua reale» nei dialoghi filmici di due prodotti seriali, uno in lingua originale (italiano), l’altro in «doppiaggese» (dialoghi in italiano riadattati dalla lingua inglese). A questo scopo, l’autrice identifica e compara in ciascun dialogo l’uso e la posizione di pronomi personali, la presenza di segnali discorsivi (fonosimbolismi) e di Question tags. Il ricorso a tali elementi risulta maggiore e più frequente nel linguaggio televisivo americano rispetto a quello italiano, a scapito – in quest’ultimo - di un maggiore effetto di naturalezza e realismo; tuttavia, nel doppiato in lingua italiana si assiste a una sorta di fenomeno d’attrito, per cui la tendenza all’uso delle unità analizzate è maggiore rispetto a quello delle sceneggiature in lingua nazionale. Il parlato trasmesso, cui dedica la propria attenzione Wagih, è quello della chat. L’autrice distingue la presenza di sequenze complementari saluti/saluti, domanda/risposta e appello/risposta, tipiche dell’uso orale, in dialoghi tratti da stanze di chat italiane e ne definisce le caratteristiche peculiari per cui differiscono dalle prime: le sequenze di azione della chat non necessitano di una consequenzialità diretta delle due parti adiacenti; le prime parti, essendo strettamente connesse alla frammentarietà del turno, possono estendersi per più di un turno e ricevere potenzialmente tante risposte quanti gli utenti convolti nel topic. Infine, l’autrice sottolinea un ultimo aspetto legato alle linee conversazionali trattate che, in quanto molteplici, ammettono la presenza di più coppie insite nello stesso canale. Il lavoro di Azzalini introduce la terza parte del volume, consacrata a La trascrizione forense. L’autrice tratta del delicato e complicato passaggio dal codice orale allo scritto, compiuto nella stesura dei brogliacci d’ascolto di captazioni telefoniche e ambientali. Il saggio pone all’attenzione del lettore i problemi legati alla trasposizione in forma scritta operata dal verbalizzante che, agendo da «doppio filtro», può compromettere la comprensibilità del vero significato di quanto trascritto, tralasciando importanti informazioni legate tanto a fattori linguistici (variazione sociolinguistica, prosodia, eventuali disabilità) quanto extralinguistici (espressioni deittiche legate al contesto, riadattamento di discorsi diretti). Sulla stessa scia, il contributo di Romito e Frontera mira a colmare un gap metodologico nelle procedure messe in atto in attività di trascrizione forense, ancora scarsamente normalizzate in contesto nazionale. Utilizzando frammenti estratti da trascrizioni di materiale captato autentico, gli autori propongono alcune linee guida concrete, atte a definire un percorso omologato di approccio tecnico-linguistico al materiale intercettato: l’imprescindibile valutazione dell’intelligibilità del segnale oggetto di perizia; identificazione e traduzione della/e varietà linguistica/che di afferenza degli interlocutori coinvolti; il delineamento dei contesti globali e locali in cui le conversazioni hanno luogo. A questo scopo, si evidenzia il ruolo cruciale rivestito dalle relazioni peritali annesse al materiale trascritto. Nel saggio successivo, gli autori Romito, Tarasi, Ciardullo e Graziano propongono la disambiguazione di frammenti discordanti di trascrizioni forensi (disputed utterances), attraverso la chiave di lettura interpretativa fornita dagli elementi prosodici. Assumendo come parametri di riferimento l’Unità Tonale (T-U) e i diversi gradi di prominenza legati all’organizzazione ritmica dell’enunciato, lo studio dimostra la possibilità di servirsi di tali modelli in fase di trascrizione del sonoro e, grazie all’identificazione e la comparazione di unità d’analisi, giungere a un’interpretazione più attendibile del piano semantico. Il lavoro di Palmerini si inserisce nella sezione intitolata La trascrizione nelle nuove tecnologie. Il contributo prospetta un quadro delle possibili attuazioni e tipologie di trascrizione del parlato registrato – adottabili, fra gli altri, in ambito penale, clinico o scolastico/ universitario - soffermandosi in modo più attento sull’utilità applicativa di sistemi di riconoscimento automatico del parlato (ASR). Questi ultimi, sottolinea l’autrice, impiegati come parte integrante di applicazioni o nell’ambito della resocontazione professionale, risultano oggi strumenti particolarmente vantaggiosi, capaci di sottrarre gran parte del lavoro meccanico di digitazione richiesto agli operatori, e favorire la possibilità di accesso alle informazioni con fruizione multimodale. L’ultima sezione del volume esplora plurime sfaccettature della relazione esistente fra Oralità e scrittura nelle scienze linguistiche e letterarie. Il lavoro di Longobardi e Gravante si inscrive nel dominio strettamente linguistico, sperimentando l’acquisizione di alcune espressioni idiomatiche in studenti apprendenti di italiano L2. Attraverso lezioni preparatorie mirate all’introduzione e la comprensione di espressioni di diverso ambito, il materiale d’analisi è elicitato durante più fasi e sessioni di role-play, tramite metodo induttivo di riformulazione dei testi. Dai risultati ottenuti, emerge una progressiva crescita nell’utilizzo di alcune espressioni entrate a far parte della retorica degli apprendenti, unitamente, in altri casi, al ricorso a una lingua ponte come veicolo di accesso ai significati. Il contributo incoraggia all’utilizzo di azioni glottodidattiche di tale sorta, che consentano ai discenti di «andare oltre il senso letterale [della parola scritta] e di sviluppare la comunicazione e la dimensione linguistica» a livelli più alti ed efficaci. Il contributo di Mayerà introduce il lettore al simbolismo dell’alfabeto arabo, in cui il rapporto fra significante e significato nell’unità della lettera si configura per antonomasia come legame diretto col Verbo e come mezzo trascendente il creato. In particolare, l’autore tratta la questione inerente all’origine di nomi ed etimologie, alla luce di un’opera iconica contemporanea, Il prototipo unico del maestro sufi algerino Ahmad al-‘Alawī, tradotta per la prima volta in lingua italiana. Il saggio successivo affronta un ulteriore aspetto legato alla tradizione letteraria araba. L’autrice Gamal propone un’analisi morfo-fonologica e fonetica di neologismi (nomi di persona e luoghi) introdotti in lingua araba per mezzo di traslitterazione: il lavoro rivela come, nel sopperire all’assenza di foni non nativi delle varietà arabe, molti metodi di «traduzione» tendano a ricorrere sia all’uso di foni articolatoriamente simili, sia a doppi grafemi, indicanti i punti di articolazione contigui fra cui ricade il fono trascritto; non esiste tuttavia un metodo sistematico, ma tendenze diffuse, che mirano a riprodurre esiti accentuali, geminazioni, epentesi e prostesi assenti nella lingua d’arrivo senza ricorrere a trascrizioni fonetiche di arduo accesso al lettore. Il risultato ottenuto è, spesso, la perdita della forma originaria della parola, che si riadatta a regole fonologiche e grafemi interni al sistema della lingua d’arrivo. La sezione è conclusa dal contributo di De Rosa, di natura squisitamente letteraria, dedicato ai versi del Risorgimento albanese di Girolamo de Rada, autore dei Canti storici albanesi di Serafina Thopia, moglie del principe Nicola Ducagino (1839). L’opera esaminata, di genere ispirato alle antiche rapsodie arbëreshe, si configura come una sorta di doppia trasposizione di codice, propaggine di una scrittura nata per essere cantata su base melodica, ma scaturita dai racconti immaginari della principessa d’Arta e i suoi amori, su modello delle poesie popolari orali. Ancora una volta, dunque, l’intreccio fra oralità e scrittura si snoda e prende vita, in una tradizione lunga secoli che, trasversalmente, nel tempo e nello spazio, non smette di affascinare e riunire studiosi di svariati ambiti disciplinari.
2017
978-88-97657-17-0
scrittura oralità
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.11770/267484
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