La Costituzione Repubblicana dopo settant'anni. La Costituzione italiana, entrata in vigore il 1°gennaio 1948, ha 70 anni Le vicende istituzionali che hanno portato alla sua approvazione ed alla sua, spesso problematica, attuazione rappresentano una sorta di fil rouge attraverso il quale si possono ricostruire i passaggi fondamentali della storia della Repubblica. Lo stato di crisi attuale del sistema politico e le distorsioni subite dall’originario modello tracciato dai padri fondatori non rende superato, inattendibile l’impianto costituzionale che in tutti questi decenni ha confermato la sua tenuta. In tal senso, è significativo il voto espresso dagli italiani il 4 dicembre del 2016, con cui è stata respinta la riforma della Costituzione approvata dal Parlamento. Si è trattato piu che di un giudizio sul merito della riforma, dell’affermazione di un principio (discutibile) secondo cui la legge fondamentale non si può toccare, neppure ritoccare. La disputa tra conservatori e rinnovatori in questo campo dura da sempre e non è certo destinata a concludersi in tempi così difficili come quelli che stiamo vivendo. La Costituzione ha rappresentato, all’indomani della fine della guerra, un punto di incontro tra interessi e posizioni ideologiche tra loro confliggenti, che esprimevano le profonde differenze che connotavano la società italiana. Di ciò bisogna tener conto oggi allorchè il Paese rischia di rompersi di fronte ad una confittualità prodotta più da ansia di conquista del potere che dalla volontà di affermare una particolare identità culturale. Sarebbe auspicabile che in occasione della celebrazione del 70° si ragionasse insieme sul valore di quel compromesso costituzionale dal profilo alto raggiunto tra i Padri fondatori. Si avverte l’esigenza di liberare il Paese dalle tossine prodotte da una rissa politica che spesso lascia sbigottiti gli italiani per la povertà degli argomenti usati e per il cinismo con cui si disputano brandelli di potere, in un’Italia che rischia di essere marginale nello scenario internazionale a causa di una perdita di reputazione sempre più pesante. È utile oggi più che mai riflettere sulla nostra storia repubblicana non per recriminare sugli errori compiuti in questi anni, ma per riconoscere le grandi conquiste conseguite da una nazione sconfitta in guerra e distrutta, anche a seguito di uno scontro tra italiani che fu assai cruento. La Costituzione ha rappresentato, rispetto a questa storia di divisioni e di lutti, un atto di pacificazione attraverso cui guardare avanti, ma senza perdere la memoria. Solo un Paese che sa meditare sugli errori compiuti può costruire presidi che impediscano di ripeterli. Ecco perchè la Costituzione è stata una conquista, ma anche una trincea da difendere perchè il passato non tornasse. Essa ha indicato un percorso che potesse essere non afascista ma esplicitamente antifacista nella misura in cui ha inteso riconoscere tutte le libertà necessarie per l’affermarsi di una democrazia emancipante, sulla base dell’idea che tutte le libertà si tengono, e bisogna difenderle insieme per evitare il rischio che tutte via via possano deperire. L’incontro di culture diverse, nella Costituente, ha reso possibile l’approvazione di una Costituzione tollerante, che rifiuta l’egemonia di una cultura sulle altre riuscendo a conciliare il lavoro come conquista (e non come merce) con un capitalismo dal volto mite, la libertà dal bisogno con la valorizzazione del merito, il ripudio della guerra con il dovere di difendere la patria e di assicurare la pace e la giustizia nei rapporti tra gli Stati. Con la Costituzione la Repubblica ha assunto l’impegno solenne di promuovere insieme lo Stato sociale, lo Stato di cultura e lo Stato di diritto fondato sul rispetto delle garanzie e sul rifiuto del giustizialismo. La Costituzione in questo senso rappresenta un atto di discontinuità nei confronti del fascismo, ma anche dell’Italietta liberale, stato di diritto sì, ma disarmato di fronte alle ingustizie sociali. Sotto tale profilo, essa è più vitale ed attuale che mai, e soprattutto ci consegna un sistema di valori destinato ad essere la bussola della democrazia anche di fronte alle più difficili emergenze. Questa Costituzione ha retto di fronte alle divisioni durissime imposte dalla guerra fredda, anche quando venne meno la simmetria tra assetto governante e processo costituente, che si reggevano a vicenda, a seguito dell'uscita delle sinistre dall’esecutivo nel 1947. Ha retto come carta dei valori anche quando ai tempi del centrismo fu inattuata in tutte la sue parti più innovative rispetto allo Statuto Albertino: le regioni, i referendum, la Corte costituzionale, il Cnel, Il Csm. Allora essa fu inattuata, ma non ripensata attraverso riforme costituzionali, nè manipolata nella sua dimensione democratica grazie alla dura opposizione organizzata nel Paese e in Parlamento nei confronti della legge "truffa" del 1953. Si trattò di una battaglia per la Costituzione e contro la restaurazione di un ordine sociale e politico ingiusto più che contro una legge elettorale. La Costituzione ha “governato” il processo riformatore realizzatosi negli anni del centro sinistra che doveva portare al pieno riconoscimento dei diritti civili e sociali per fare entrare attraverso le riforme il Paese nella modernità. Essa poi ha rappresentato il punto di riferimento imprescindibile negli anni della lotta contro il terrorismo e le mafie per vincere una guerra difficile senza macchiare l’onore dello Stato, cioè nel pieno rispetto dei valori del garantismo. Con la fine della Prima Repubblica, la “Repubblica dei partiti” secondo la definizione di Scoppola, il valore della Costituzione è sbiadito essendo venuti meno gli attori-leader ed i partiti che l’avevano progettata ed attuata. Sono sembrati prevalere gli impulsi che venivano dalla globalizzazione, dalla dittatura del mercato, dalla politica spettacolo, urlata ma senza idee e passioni. La fine del comunismo imponeva un ripensamento di alcuni istituti, una volta che venivano legittimati tutti gli attori in campo con il venir meno della conventio ad excludendum. Nulla si è fatto. Sono stati trent’anni perduti. La Costituzione è stata ritenuta fortemente datata, e se non propriamente da rimuovere, comunque da considerare alla stregua di un monumento del passato. Essa, al contrario, con la sua idea di fondo della persona come centro motore del sistema sociale e di quello istituzionale è più viva che mai. Lo è nella coscienza del Paese, che l'ha dimostrato tutte le volte in cui si è trattato di votare le riforme costituzionali. Lo è di fronte alle nuove minacce che mettono a rischio la tranquillità sociale, e richiedono più solidarietà, e meno individualismo in una situazione in cui il capitalismo torna ad avere un volto ferino che le Costituzioni del dopoguerra avevano cercato di mitigare. Il Paese è più povero e più diviso che mai, oltre che più sfiduciato. Nella Costituzione vi sono idee e rimedi per reagire a questo stato di decadenza. Occorre “riconquistare” la Costituzione, ristabilendo il primato della politica e battendosi per la riformabilità del capitalismo contemporaneo, insomma opponendosi al trionfo del mercato e della speculazione finanziaria prodotto dalle “rivoluzioni” liberiste. Occorrono a tal fine partiti che tornino a essere delle comunità vitali e non delle congreghe adibite alla propaganda politica, ed occorre un Paese più colto, che sappia padroneggiare gli istituti della democrazia ridando ad essi il lustro che meritano. Da tutto ciò dipende la coesione del Paese e lo slancio con cui deve muoversi in uno scenario internazionale in cui Il sovranismo è fattore di debolezza e non di forza. Nella Costituzione ci sono valori per nulla obsoleti che bisogna sapere efficacemente declinare, nel momento presente, per fare contare di più l'Italia in Europa, in un'Europa sollecitata a dare una versione umanizzante della globalizzazione. La Costituzione italiana -che è figlia non solo di una crisi di regime, ma di un guerra civile di cui essa porta i segni, considerato lo sforzo compiuto dai costituenti di pacificare il Paese attraverso nuovi valori condivisi- ha sancito la piena sovranità dell’Italia, il principio del potere limitato, l’impegno di popolo ed istituzioni per rendere uguali i diseguali. Non c’è crisi economica o emergenza che metta a dura prova la sicurezza dei territori che possano fare ritenere superati questi punti fermi, posti a base della convivenza collettiva. Se ciò dovesse avvenire sarebbe priva di significato la cittadinanza democratica e obsoleta la stessa idea di Costituzione. È, infatti, la Costituzione, come presidio del patto tra Popolo e potere, che consente alle Istituzioni di non smarrire il senso della loro tradizione, che nessun mito della globalizzazione e nessuna sbornia mercatista possono dissolvere. L'attualità della Costituzione italiana è posta dinanzi a nuove sfide. Prima fra tutte il processo di costituzionalizzazione dell'Europa. V'è la consapevolezza diffusa che le istituzioni europee richiederanno al più presto una Carta fondamentale condivisa ed espressione del popolo europeo, una Carta che non sia un minimo comune delle culture dei popoli europei ma un progetto di sviluppo sostenibile sul piano umano e sociale, una Carta ove la Costituzione repubblicana Italiano sarà in grado di apportare una proposta di civiltà ancora attuale e rivolta al futuro. Il processo è in essere ma ad opera delle Corti superiori le quali a mezzo della leale collaborazione provvedono in un'opera saggia di decomposizione e ricomposizione del sistema di valori. Occorrerà che le istituzioni nazionali ed europee in un'opera di democratizzazione progressiva prendano a cuore il tema e lo avviino in un processo concludente. Né può ammettersi la lenta e graduale disgregazione conseguente alla divaricazione europea tra le varie velocità dei Paesi. Le politiche di coesione sociale e il valore centrale della persona non possono tollerare divaricazioni territoriali al di fuori di un quadro di recupero delle arretratezze e delle sacche di bisogno. D'altra parte l'esigenza emersa in occasione dell'unificazione delle Germanie ne fu un esempio del quale si fece carico l'Europa. Altra sfida che la sola Costituzione Italiana ha dato dimostrazione di affrontare con successo è il fenomeno migratorio. Soltanto una Carta fondamentale dal volto umano come quella italiana e poche altre hanno saputo fronteggiare – non senza limiti- un fenomeno così vasto e imponente. Non si è trattato di una sfida semplice sul piano materiale e su quello culturale, posti dinanzi all'ergersi di egoismi quali barriere fisiche e spirituali, e non si tratta ancora di una sfida che l'Europa ha metabolizzato assorbendone la portata valoriale. La cecità dell'egoismo non ha saputo cogliere neppure le opportunità di collaborazione che nella mano tesa dalla sponda africana l'Europa avrebbe e deve sapere accettare e valorizzare. Ma bisogna riconoscere merito ai valori del personalismo e del solidarismo della Costituzione repubblicana, trincee di civiltà e fondamento delle politiche di accoglienza, per dare la giusta spiegazione all'ostinazione italiana in Europa per fare ascoltare a coloro che non vogliono sentire. Residua un tema emergente e nel quale il dialogo tra i Paesi europei e le istituzioni Europee diverrà decisivo: la violenta riemersione della questione sociale. La Costituzione sociale italiana è lì testimone di un progetto di eguaglianza sostanziale in fase di pericoloso regresso, che rischia di minare dalle fondamenta il patto di conviveza sociale nazionale ed europeo. Il lento ma progressivo processo di svuotamento dovuto al forte indebitamento pubblico richiede un nuovo risorgimento costituzionale. Il dirottamento delle politiche economiche nella dimensione europea ha smarrito il necessario raccordo tra sviluppo e conomico e coesione sociale e ha posto i Paesi a più alto indebitamento pubblico nella evidente difficoltà di assolvere alle politiche sociali. S'è generata una divaricazione che di fatto ha posto le basi evidenti della non più sostenibile diseguaglianza tra i popoli e nei popoli. La Costituzione sociale italiana è il patrimonio culturale più vivo e attuale da destinare ad un'esportazione "virale" nei Paesi europei e nelle istituzioni europee, consapevoli che senza l'obliettivo dell'eguaglianza anche la rivendicazione delle libertà diviene una ipocrisia istituzionale che i più pagheranno a caro prezzo a vantaggio di pochi e, vieppiù, pochissimi. La persona (e dopo il mercato) è lo scopo ultimo per il quale opera e convergono le azioni delle istituzioni pubbliche e private, ma anche quelle dei singoli, cittadini o stranieri. Dunque, la persona è l'interesse generale dell'intero sistema; quest'ultimo abbandona la dimensione quantitativa (o maggioritaria) per adottare quella qualitativa ed esistenziale. Ciò fa emergere la rilevanza giuridica del primum vivere deinde philosophari. Occorre assicurare alla persona i diritti inviolabili ma riconoscere i doveri inderogabili dell'uomo. Senza doverosità non c'è socialità. Si può affermare che la dignità della persona è garantita in quel minimo vitale senza il quale si compromette il senso più autentico di libertà. Ciò pone i diritti individuali e quelli sociali su piani distinti ma connessi, ove ambedue si frantumano in differenti contenuti. Si distingueranno diritti individuali e sociali economicamente condizionati, ovvero, incondizionati. Tutti i diritti hanno un costo, alcuni dipendono dal mercato altri ne prescindono. I primi sono assicurati nel rispetto delle regole della comunità economica, i secondi sono garantiti dalla comunità sociale. Ciò spiega perché l'art. 2 cost. si riferisce alla «persona» e l'art. 3 cost. al «cittadino». Non v'è conflitto ma progressione secondo cerchi concentrici che dal nucleo «vitale» alla persona si espandono a quelle attività promozionali, strumenti di rimozione degli ostacoli alla vita democratica. I costi dei diritti sono economici e sociali perché in essi v’è l’esercizio democratico del potere quale locus del concorso e del bilanciamento di interessi e valori. La persona come essere sociale ha bisogno di una libertà «giusta», senza la quale la prima genera il dominio dell’uomo sull’uomo. Nella socialità vi è la doverosità immanente, non può esservi una libertà giusta senza doverosità. Per tali ragioni nelle situazioni giuridiche del «minimo vitale» le pretese protette prevalgono sulle prestazioni dovute. Ciò non rileva soltanto nei rapporti verticali fra stato e persona, ma anche nei rapporti intersoggettivi orizzontali fra i consociati. La giurisprudenza italiana ratione materiae è alquanto oscillante, trovandosi più volte di fronte alla complessa attività ermeneutica consistente nel bilanciare l’esigenza creditoria a vedere adempiuta la prestazione e l’esigenza debitoria a mantenere il minimo vitale idoneo a riempire di dignità una vita che altrimenti sarebbe un contenitore vuoto. Il parametro da utilizzare è la ragionevolezza. Subordinare il minimo vitale alle regole di mercato causerebbe squilibri ed ingiustizie sociali. Tanto più se si considerano diritti inviolabili non soltanto le libertà da o di (negative o positive) ma anche i diritti sociali, in particolare quelli che assicurano una vita libera e dignitosa. Ciò non esclude che anche il beneficiario del minimo vitale sia gravato da doveri inderogabili, i quali insisteranno maggiormente nella situazione della persona quanto più in essi si manifesti un bisogno «sostenibile» nella dimensione diacronica dell’umanità. Il compito delle istituzioni repubblicane è correggere le ingiustizie sociali, senza comprimere, oltre il necessario, le libertà individuali e dei gruppi, le quali esprimono la principale essenza della persona. La sussidiarietà orizzontale dei privati non è spazio istituzionale marginale in quanto liberato dallo Stato ma spazio istituzionale condiviso fra azioni pubbliche e private convergenti verso il bene personale e comune. I diritti inalienabili alla sicurezza sociale si declinano in diritto alla salute, all'istruzione, all'abitazione, alla conoscenza, all'accesso al lavoro. Tali diritti sono enunciabili anche come doveri inderogabili, tuttavia, essi presentano una res cogitans ed una extensa. Nella prima si identifica il minimo vitale, quei diritti-doveri che sono consustanziali alla vita libera e dignitosa e allo status personae. Dunque, i diritti sociali hanno una misura inviolabile o "minima", ed una facoltativa, disponibile, legata alle regole di funzionamento del mercato. In un quadro ordinamentale composto da costituzioni nazionali ed europea, un ruolo decisivo è assolto dalla leale collaborazione tra le corti superiori. Esse hanno concepito le teorie del multilivello e dei controlimiti per preservare spazi operativi rigidi all'azione degli stati nazionali anche contro le istituzioni europee. Tuttavia, deve considerarsi che il valore primario della persona non subisce cedimenti dinanzi ad un riparto di competenze tra fonti. Dunque, tali teorie, se assunte in una concezione strutturale e formale dei rapporti istituzionali, rivelano l’effetto impeditivo dei principi fondamentali, pure affermati dalle Corti. Non si può ammettere che un assetto istituzionale pensato quale strumento della migliore realizzazione dei diritti fondamentali si trasformi in causa di diminuzione dell'autodeterminazione dei popoli nella propria realizzazione democratica essenziale (la dignità della persona). Le cessioni di sovranità degli Stati non possono diminuire le garanzie costituzionali accordate dai medesimi alla persona, né trasformare lo Stato-istituzione da strumento per la tutela della persona a fine di tutela. Dunque, l’autodeterminazione è dei popoli, non degli Stati, i quali ultimi hanno ragioni di tutela quando garantiscono la pace e la giustizia, ossia i diritti fondamentali della persona. Quando il divario sociale o territoriale di effettività dei diritti fondamentali interessa finanche la dignità del minimo vitale, la libertà smarrisce il senso del «giusto» e le istituzioni si sottraggono al proprio compito. La decrescita dei diritti fondamentali vitali e del benessere, coincidente con l’arresto della integrazione europea, senza la chiara emersione delle rispettive cause, ha spinto verso la divaricazione degli ordinamenti nazionali e smarrito la funzione dell’unione istituzionale europea. Lo status quo richiede che i sistemi giuridici nazionali siano viepiù integrati, almeno nelle fonti di vertice, in modo da dare effettività ad un unico sistema e al rispetto della persona la cui violazione ne attenta la ragione di esistenza. Anche le costituzioni nazionali non sono monadi. L'art. 6 co. 3 del Tratt. UE sancisce che i diritti fondamentali, risultanti dalle «tradizioni costituzionali comuni» agli stati membri, sono principi generali dell'UE. Essi in quanto giacimenti culturali dei popoli traslitterano nelle prassi condivise. In fondo la battaglia sociale, per una società che dia opportunità a tutti e che attui le libertà secondo equità è ancora lì, coriacea e riaperta ogni qual volta si abbassa la guardia inseguendo pericolosi miti mercatisti e indiviini
Farò Politica Eguaglianza integrazione solidarietà
caterini enrico
2018-01-01
Abstract
La Costituzione Repubblicana dopo settant'anni. La Costituzione italiana, entrata in vigore il 1°gennaio 1948, ha 70 anni Le vicende istituzionali che hanno portato alla sua approvazione ed alla sua, spesso problematica, attuazione rappresentano una sorta di fil rouge attraverso il quale si possono ricostruire i passaggi fondamentali della storia della Repubblica. Lo stato di crisi attuale del sistema politico e le distorsioni subite dall’originario modello tracciato dai padri fondatori non rende superato, inattendibile l’impianto costituzionale che in tutti questi decenni ha confermato la sua tenuta. In tal senso, è significativo il voto espresso dagli italiani il 4 dicembre del 2016, con cui è stata respinta la riforma della Costituzione approvata dal Parlamento. Si è trattato piu che di un giudizio sul merito della riforma, dell’affermazione di un principio (discutibile) secondo cui la legge fondamentale non si può toccare, neppure ritoccare. La disputa tra conservatori e rinnovatori in questo campo dura da sempre e non è certo destinata a concludersi in tempi così difficili come quelli che stiamo vivendo. La Costituzione ha rappresentato, all’indomani della fine della guerra, un punto di incontro tra interessi e posizioni ideologiche tra loro confliggenti, che esprimevano le profonde differenze che connotavano la società italiana. Di ciò bisogna tener conto oggi allorchè il Paese rischia di rompersi di fronte ad una confittualità prodotta più da ansia di conquista del potere che dalla volontà di affermare una particolare identità culturale. Sarebbe auspicabile che in occasione della celebrazione del 70° si ragionasse insieme sul valore di quel compromesso costituzionale dal profilo alto raggiunto tra i Padri fondatori. Si avverte l’esigenza di liberare il Paese dalle tossine prodotte da una rissa politica che spesso lascia sbigottiti gli italiani per la povertà degli argomenti usati e per il cinismo con cui si disputano brandelli di potere, in un’Italia che rischia di essere marginale nello scenario internazionale a causa di una perdita di reputazione sempre più pesante. È utile oggi più che mai riflettere sulla nostra storia repubblicana non per recriminare sugli errori compiuti in questi anni, ma per riconoscere le grandi conquiste conseguite da una nazione sconfitta in guerra e distrutta, anche a seguito di uno scontro tra italiani che fu assai cruento. La Costituzione ha rappresentato, rispetto a questa storia di divisioni e di lutti, un atto di pacificazione attraverso cui guardare avanti, ma senza perdere la memoria. Solo un Paese che sa meditare sugli errori compiuti può costruire presidi che impediscano di ripeterli. Ecco perchè la Costituzione è stata una conquista, ma anche una trincea da difendere perchè il passato non tornasse. Essa ha indicato un percorso che potesse essere non afascista ma esplicitamente antifacista nella misura in cui ha inteso riconoscere tutte le libertà necessarie per l’affermarsi di una democrazia emancipante, sulla base dell’idea che tutte le libertà si tengono, e bisogna difenderle insieme per evitare il rischio che tutte via via possano deperire. L’incontro di culture diverse, nella Costituente, ha reso possibile l’approvazione di una Costituzione tollerante, che rifiuta l’egemonia di una cultura sulle altre riuscendo a conciliare il lavoro come conquista (e non come merce) con un capitalismo dal volto mite, la libertà dal bisogno con la valorizzazione del merito, il ripudio della guerra con il dovere di difendere la patria e di assicurare la pace e la giustizia nei rapporti tra gli Stati. Con la Costituzione la Repubblica ha assunto l’impegno solenne di promuovere insieme lo Stato sociale, lo Stato di cultura e lo Stato di diritto fondato sul rispetto delle garanzie e sul rifiuto del giustizialismo. La Costituzione in questo senso rappresenta un atto di discontinuità nei confronti del fascismo, ma anche dell’Italietta liberale, stato di diritto sì, ma disarmato di fronte alle ingustizie sociali. Sotto tale profilo, essa è più vitale ed attuale che mai, e soprattutto ci consegna un sistema di valori destinato ad essere la bussola della democrazia anche di fronte alle più difficili emergenze. Questa Costituzione ha retto di fronte alle divisioni durissime imposte dalla guerra fredda, anche quando venne meno la simmetria tra assetto governante e processo costituente, che si reggevano a vicenda, a seguito dell'uscita delle sinistre dall’esecutivo nel 1947. Ha retto come carta dei valori anche quando ai tempi del centrismo fu inattuata in tutte la sue parti più innovative rispetto allo Statuto Albertino: le regioni, i referendum, la Corte costituzionale, il Cnel, Il Csm. Allora essa fu inattuata, ma non ripensata attraverso riforme costituzionali, nè manipolata nella sua dimensione democratica grazie alla dura opposizione organizzata nel Paese e in Parlamento nei confronti della legge "truffa" del 1953. Si trattò di una battaglia per la Costituzione e contro la restaurazione di un ordine sociale e politico ingiusto più che contro una legge elettorale. La Costituzione ha “governato” il processo riformatore realizzatosi negli anni del centro sinistra che doveva portare al pieno riconoscimento dei diritti civili e sociali per fare entrare attraverso le riforme il Paese nella modernità. Essa poi ha rappresentato il punto di riferimento imprescindibile negli anni della lotta contro il terrorismo e le mafie per vincere una guerra difficile senza macchiare l’onore dello Stato, cioè nel pieno rispetto dei valori del garantismo. Con la fine della Prima Repubblica, la “Repubblica dei partiti” secondo la definizione di Scoppola, il valore della Costituzione è sbiadito essendo venuti meno gli attori-leader ed i partiti che l’avevano progettata ed attuata. Sono sembrati prevalere gli impulsi che venivano dalla globalizzazione, dalla dittatura del mercato, dalla politica spettacolo, urlata ma senza idee e passioni. La fine del comunismo imponeva un ripensamento di alcuni istituti, una volta che venivano legittimati tutti gli attori in campo con il venir meno della conventio ad excludendum. Nulla si è fatto. Sono stati trent’anni perduti. La Costituzione è stata ritenuta fortemente datata, e se non propriamente da rimuovere, comunque da considerare alla stregua di un monumento del passato. Essa, al contrario, con la sua idea di fondo della persona come centro motore del sistema sociale e di quello istituzionale è più viva che mai. Lo è nella coscienza del Paese, che l'ha dimostrato tutte le volte in cui si è trattato di votare le riforme costituzionali. Lo è di fronte alle nuove minacce che mettono a rischio la tranquillità sociale, e richiedono più solidarietà, e meno individualismo in una situazione in cui il capitalismo torna ad avere un volto ferino che le Costituzioni del dopoguerra avevano cercato di mitigare. Il Paese è più povero e più diviso che mai, oltre che più sfiduciato. Nella Costituzione vi sono idee e rimedi per reagire a questo stato di decadenza. Occorre “riconquistare” la Costituzione, ristabilendo il primato della politica e battendosi per la riformabilità del capitalismo contemporaneo, insomma opponendosi al trionfo del mercato e della speculazione finanziaria prodotto dalle “rivoluzioni” liberiste. Occorrono a tal fine partiti che tornino a essere delle comunità vitali e non delle congreghe adibite alla propaganda politica, ed occorre un Paese più colto, che sappia padroneggiare gli istituti della democrazia ridando ad essi il lustro che meritano. Da tutto ciò dipende la coesione del Paese e lo slancio con cui deve muoversi in uno scenario internazionale in cui Il sovranismo è fattore di debolezza e non di forza. Nella Costituzione ci sono valori per nulla obsoleti che bisogna sapere efficacemente declinare, nel momento presente, per fare contare di più l'Italia in Europa, in un'Europa sollecitata a dare una versione umanizzante della globalizzazione. La Costituzione italiana -che è figlia non solo di una crisi di regime, ma di un guerra civile di cui essa porta i segni, considerato lo sforzo compiuto dai costituenti di pacificare il Paese attraverso nuovi valori condivisi- ha sancito la piena sovranità dell’Italia, il principio del potere limitato, l’impegno di popolo ed istituzioni per rendere uguali i diseguali. Non c’è crisi economica o emergenza che metta a dura prova la sicurezza dei territori che possano fare ritenere superati questi punti fermi, posti a base della convivenza collettiva. Se ciò dovesse avvenire sarebbe priva di significato la cittadinanza democratica e obsoleta la stessa idea di Costituzione. È, infatti, la Costituzione, come presidio del patto tra Popolo e potere, che consente alle Istituzioni di non smarrire il senso della loro tradizione, che nessun mito della globalizzazione e nessuna sbornia mercatista possono dissolvere. L'attualità della Costituzione italiana è posta dinanzi a nuove sfide. Prima fra tutte il processo di costituzionalizzazione dell'Europa. V'è la consapevolezza diffusa che le istituzioni europee richiederanno al più presto una Carta fondamentale condivisa ed espressione del popolo europeo, una Carta che non sia un minimo comune delle culture dei popoli europei ma un progetto di sviluppo sostenibile sul piano umano e sociale, una Carta ove la Costituzione repubblicana Italiano sarà in grado di apportare una proposta di civiltà ancora attuale e rivolta al futuro. Il processo è in essere ma ad opera delle Corti superiori le quali a mezzo della leale collaborazione provvedono in un'opera saggia di decomposizione e ricomposizione del sistema di valori. Occorrerà che le istituzioni nazionali ed europee in un'opera di democratizzazione progressiva prendano a cuore il tema e lo avviino in un processo concludente. Né può ammettersi la lenta e graduale disgregazione conseguente alla divaricazione europea tra le varie velocità dei Paesi. Le politiche di coesione sociale e il valore centrale della persona non possono tollerare divaricazioni territoriali al di fuori di un quadro di recupero delle arretratezze e delle sacche di bisogno. D'altra parte l'esigenza emersa in occasione dell'unificazione delle Germanie ne fu un esempio del quale si fece carico l'Europa. Altra sfida che la sola Costituzione Italiana ha dato dimostrazione di affrontare con successo è il fenomeno migratorio. Soltanto una Carta fondamentale dal volto umano come quella italiana e poche altre hanno saputo fronteggiare – non senza limiti- un fenomeno così vasto e imponente. Non si è trattato di una sfida semplice sul piano materiale e su quello culturale, posti dinanzi all'ergersi di egoismi quali barriere fisiche e spirituali, e non si tratta ancora di una sfida che l'Europa ha metabolizzato assorbendone la portata valoriale. La cecità dell'egoismo non ha saputo cogliere neppure le opportunità di collaborazione che nella mano tesa dalla sponda africana l'Europa avrebbe e deve sapere accettare e valorizzare. Ma bisogna riconoscere merito ai valori del personalismo e del solidarismo della Costituzione repubblicana, trincee di civiltà e fondamento delle politiche di accoglienza, per dare la giusta spiegazione all'ostinazione italiana in Europa per fare ascoltare a coloro che non vogliono sentire. Residua un tema emergente e nel quale il dialogo tra i Paesi europei e le istituzioni Europee diverrà decisivo: la violenta riemersione della questione sociale. La Costituzione sociale italiana è lì testimone di un progetto di eguaglianza sostanziale in fase di pericoloso regresso, che rischia di minare dalle fondamenta il patto di conviveza sociale nazionale ed europeo. Il lento ma progressivo processo di svuotamento dovuto al forte indebitamento pubblico richiede un nuovo risorgimento costituzionale. Il dirottamento delle politiche economiche nella dimensione europea ha smarrito il necessario raccordo tra sviluppo e conomico e coesione sociale e ha posto i Paesi a più alto indebitamento pubblico nella evidente difficoltà di assolvere alle politiche sociali. S'è generata una divaricazione che di fatto ha posto le basi evidenti della non più sostenibile diseguaglianza tra i popoli e nei popoli. La Costituzione sociale italiana è il patrimonio culturale più vivo e attuale da destinare ad un'esportazione "virale" nei Paesi europei e nelle istituzioni europee, consapevoli che senza l'obliettivo dell'eguaglianza anche la rivendicazione delle libertà diviene una ipocrisia istituzionale che i più pagheranno a caro prezzo a vantaggio di pochi e, vieppiù, pochissimi. La persona (e dopo il mercato) è lo scopo ultimo per il quale opera e convergono le azioni delle istituzioni pubbliche e private, ma anche quelle dei singoli, cittadini o stranieri. Dunque, la persona è l'interesse generale dell'intero sistema; quest'ultimo abbandona la dimensione quantitativa (o maggioritaria) per adottare quella qualitativa ed esistenziale. Ciò fa emergere la rilevanza giuridica del primum vivere deinde philosophari. Occorre assicurare alla persona i diritti inviolabili ma riconoscere i doveri inderogabili dell'uomo. Senza doverosità non c'è socialità. Si può affermare che la dignità della persona è garantita in quel minimo vitale senza il quale si compromette il senso più autentico di libertà. Ciò pone i diritti individuali e quelli sociali su piani distinti ma connessi, ove ambedue si frantumano in differenti contenuti. Si distingueranno diritti individuali e sociali economicamente condizionati, ovvero, incondizionati. Tutti i diritti hanno un costo, alcuni dipendono dal mercato altri ne prescindono. I primi sono assicurati nel rispetto delle regole della comunità economica, i secondi sono garantiti dalla comunità sociale. Ciò spiega perché l'art. 2 cost. si riferisce alla «persona» e l'art. 3 cost. al «cittadino». Non v'è conflitto ma progressione secondo cerchi concentrici che dal nucleo «vitale» alla persona si espandono a quelle attività promozionali, strumenti di rimozione degli ostacoli alla vita democratica. I costi dei diritti sono economici e sociali perché in essi v’è l’esercizio democratico del potere quale locus del concorso e del bilanciamento di interessi e valori. La persona come essere sociale ha bisogno di una libertà «giusta», senza la quale la prima genera il dominio dell’uomo sull’uomo. Nella socialità vi è la doverosità immanente, non può esservi una libertà giusta senza doverosità. Per tali ragioni nelle situazioni giuridiche del «minimo vitale» le pretese protette prevalgono sulle prestazioni dovute. Ciò non rileva soltanto nei rapporti verticali fra stato e persona, ma anche nei rapporti intersoggettivi orizzontali fra i consociati. La giurisprudenza italiana ratione materiae è alquanto oscillante, trovandosi più volte di fronte alla complessa attività ermeneutica consistente nel bilanciare l’esigenza creditoria a vedere adempiuta la prestazione e l’esigenza debitoria a mantenere il minimo vitale idoneo a riempire di dignità una vita che altrimenti sarebbe un contenitore vuoto. Il parametro da utilizzare è la ragionevolezza. Subordinare il minimo vitale alle regole di mercato causerebbe squilibri ed ingiustizie sociali. Tanto più se si considerano diritti inviolabili non soltanto le libertà da o di (negative o positive) ma anche i diritti sociali, in particolare quelli che assicurano una vita libera e dignitosa. Ciò non esclude che anche il beneficiario del minimo vitale sia gravato da doveri inderogabili, i quali insisteranno maggiormente nella situazione della persona quanto più in essi si manifesti un bisogno «sostenibile» nella dimensione diacronica dell’umanità. Il compito delle istituzioni repubblicane è correggere le ingiustizie sociali, senza comprimere, oltre il necessario, le libertà individuali e dei gruppi, le quali esprimono la principale essenza della persona. La sussidiarietà orizzontale dei privati non è spazio istituzionale marginale in quanto liberato dallo Stato ma spazio istituzionale condiviso fra azioni pubbliche e private convergenti verso il bene personale e comune. I diritti inalienabili alla sicurezza sociale si declinano in diritto alla salute, all'istruzione, all'abitazione, alla conoscenza, all'accesso al lavoro. Tali diritti sono enunciabili anche come doveri inderogabili, tuttavia, essi presentano una res cogitans ed una extensa. Nella prima si identifica il minimo vitale, quei diritti-doveri che sono consustanziali alla vita libera e dignitosa e allo status personae. Dunque, i diritti sociali hanno una misura inviolabile o "minima", ed una facoltativa, disponibile, legata alle regole di funzionamento del mercato. In un quadro ordinamentale composto da costituzioni nazionali ed europea, un ruolo decisivo è assolto dalla leale collaborazione tra le corti superiori. Esse hanno concepito le teorie del multilivello e dei controlimiti per preservare spazi operativi rigidi all'azione degli stati nazionali anche contro le istituzioni europee. Tuttavia, deve considerarsi che il valore primario della persona non subisce cedimenti dinanzi ad un riparto di competenze tra fonti. Dunque, tali teorie, se assunte in una concezione strutturale e formale dei rapporti istituzionali, rivelano l’effetto impeditivo dei principi fondamentali, pure affermati dalle Corti. Non si può ammettere che un assetto istituzionale pensato quale strumento della migliore realizzazione dei diritti fondamentali si trasformi in causa di diminuzione dell'autodeterminazione dei popoli nella propria realizzazione democratica essenziale (la dignità della persona). Le cessioni di sovranità degli Stati non possono diminuire le garanzie costituzionali accordate dai medesimi alla persona, né trasformare lo Stato-istituzione da strumento per la tutela della persona a fine di tutela. Dunque, l’autodeterminazione è dei popoli, non degli Stati, i quali ultimi hanno ragioni di tutela quando garantiscono la pace e la giustizia, ossia i diritti fondamentali della persona. Quando il divario sociale o territoriale di effettività dei diritti fondamentali interessa finanche la dignità del minimo vitale, la libertà smarrisce il senso del «giusto» e le istituzioni si sottraggono al proprio compito. La decrescita dei diritti fondamentali vitali e del benessere, coincidente con l’arresto della integrazione europea, senza la chiara emersione delle rispettive cause, ha spinto verso la divaricazione degli ordinamenti nazionali e smarrito la funzione dell’unione istituzionale europea. Lo status quo richiede che i sistemi giuridici nazionali siano viepiù integrati, almeno nelle fonti di vertice, in modo da dare effettività ad un unico sistema e al rispetto della persona la cui violazione ne attenta la ragione di esistenza. Anche le costituzioni nazionali non sono monadi. L'art. 6 co. 3 del Tratt. UE sancisce che i diritti fondamentali, risultanti dalle «tradizioni costituzionali comuni» agli stati membri, sono principi generali dell'UE. Essi in quanto giacimenti culturali dei popoli traslitterano nelle prassi condivise. In fondo la battaglia sociale, per una società che dia opportunità a tutti e che attui le libertà secondo equità è ancora lì, coriacea e riaperta ogni qual volta si abbassa la guardia inseguendo pericolosi miti mercatisti e indiviiniI documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.