Nella profonda gola situata in prossimità di Kiev, nota come Babij Jar, fra il 29 e il 30 settembre 1941 le truppe tedesche sterminarono, a colpi d'arma da fuoco, 33.771 ebrei. Si tratta del più grave eccidio commesso durante il secondo conflitto mondiale. Dopo la guerra il territorio fu modificato, ridisegnato o riconvertito al fine di rimuovere i segni del genocidio. Di fronte alla volontà di cancellazione del luogo, oggi pressoché definitiva, un ruolo centrale nel processo di trasmissione dei fatti storici, già a partire dalla fine degli anni ’40, lo ebbero le arti. Il volume, dopo aver ricostruito circostanze e responsabilità del massacro di Babij Jar, indaga in che modo prosa e poesia, musica, architettura e pittura hanno creato una sorta di testo collettivo grazie al quale l'evento ha potuto conservarsi nonostante le ripetute censure, repressioni, profanazioni. Intende così contribuire alla riflessione sulla trasformazione che ha subito, negli ultimi anni, il modo di concepire la ricerca su violenza e genocidio per effetto di una straordinaria espansione delle tradizionali “zone d’archivio”, comprese quelle orali, narrative, visuali, materiali, archeologiche, dando forma a nuove tipologie di “memoria culturale”, che risultano sempre più indispensabili per la costruzione sociale del passato.
Le ceneri di Babij Jar. L’eccidio degli ebrei di Kiev
Antonella Salomoni
2019-01-01
Abstract
Nella profonda gola situata in prossimità di Kiev, nota come Babij Jar, fra il 29 e il 30 settembre 1941 le truppe tedesche sterminarono, a colpi d'arma da fuoco, 33.771 ebrei. Si tratta del più grave eccidio commesso durante il secondo conflitto mondiale. Dopo la guerra il territorio fu modificato, ridisegnato o riconvertito al fine di rimuovere i segni del genocidio. Di fronte alla volontà di cancellazione del luogo, oggi pressoché definitiva, un ruolo centrale nel processo di trasmissione dei fatti storici, già a partire dalla fine degli anni ’40, lo ebbero le arti. Il volume, dopo aver ricostruito circostanze e responsabilità del massacro di Babij Jar, indaga in che modo prosa e poesia, musica, architettura e pittura hanno creato una sorta di testo collettivo grazie al quale l'evento ha potuto conservarsi nonostante le ripetute censure, repressioni, profanazioni. Intende così contribuire alla riflessione sulla trasformazione che ha subito, negli ultimi anni, il modo di concepire la ricerca su violenza e genocidio per effetto di una straordinaria espansione delle tradizionali “zone d’archivio”, comprese quelle orali, narrative, visuali, materiali, archeologiche, dando forma a nuove tipologie di “memoria culturale”, che risultano sempre più indispensabili per la costruzione sociale del passato.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.