All’interno della gerarchia dei generi codificata da André Félibien nel 1668, al vertice viene collocata la pittura di storia, intesa non solo come rappresentazione delle grandi azioni del passato ma anche come espressione dei “sujets agréables” raccontati dai poeti. Un’equiparazione, però, solo teorica e non del tutto legittimata dai canoni prescritti dall’Académie de peinture et de sculpture, per i quali maggiore rilevanza era comunque attribuita a soggetti religiosi e aulici o connessi all’epopea di Luigi XIV. Le Metamorfosi di Ovidio paiono, quindi, perdere la valenza di modello esemplare ricoperta nei secoli precedenti, e solo tra la fine del Seicento e i primi decenni del Settecento andranno a riconquistare uno spazio privilegiato all’interno della produzione artistica francese. In questo caso, tuttavia, si tratterà di una “mitologia travestita” – per usare le parole di Jean Starobinski – utilizzata senza alcun intento filologico, ma adoperata come pretesto per elaborazioni sensuali e voluttuose, consentite proprio in virtù del differimento in chiave favolistica, avulso – solo in apparenza – dal contesto reale. Creazioni prive di qualsiasi tensione morale, quelle ideate ad esempio da François Boucher, che subiranno la condanna inesorabile degli Illuministi e che indurranno il conte Caylus a suggerire agli artisti di cercare ispirazione in Omero piuttosto che lasciarsi sedurre dall’opera di Ovidio. Un monito rispettato dalla generazione davidiana, che andrà a concentrarsi soprattutto su exempla virtutis di stoica potenza, pur riservando un posto non sempre secondario a trasposizioni mitologiche, in una sorta di duplice binario compositivo ricco di sfumature ideologiche.
Tra Classico e Neoclassico: le “Metamorfosi” di Ovidio nella pittura francese
Scognamiglio, Ornella
2020-01-01
Abstract
All’interno della gerarchia dei generi codificata da André Félibien nel 1668, al vertice viene collocata la pittura di storia, intesa non solo come rappresentazione delle grandi azioni del passato ma anche come espressione dei “sujets agréables” raccontati dai poeti. Un’equiparazione, però, solo teorica e non del tutto legittimata dai canoni prescritti dall’Académie de peinture et de sculpture, per i quali maggiore rilevanza era comunque attribuita a soggetti religiosi e aulici o connessi all’epopea di Luigi XIV. Le Metamorfosi di Ovidio paiono, quindi, perdere la valenza di modello esemplare ricoperta nei secoli precedenti, e solo tra la fine del Seicento e i primi decenni del Settecento andranno a riconquistare uno spazio privilegiato all’interno della produzione artistica francese. In questo caso, tuttavia, si tratterà di una “mitologia travestita” – per usare le parole di Jean Starobinski – utilizzata senza alcun intento filologico, ma adoperata come pretesto per elaborazioni sensuali e voluttuose, consentite proprio in virtù del differimento in chiave favolistica, avulso – solo in apparenza – dal contesto reale. Creazioni prive di qualsiasi tensione morale, quelle ideate ad esempio da François Boucher, che subiranno la condanna inesorabile degli Illuministi e che indurranno il conte Caylus a suggerire agli artisti di cercare ispirazione in Omero piuttosto che lasciarsi sedurre dall’opera di Ovidio. Un monito rispettato dalla generazione davidiana, che andrà a concentrarsi soprattutto su exempla virtutis di stoica potenza, pur riservando un posto non sempre secondario a trasposizioni mitologiche, in una sorta di duplice binario compositivo ricco di sfumature ideologiche.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.