La storia degli studi filosofici e non sul linguaggio è caratterizzata da un grande ambiguità. Per secoli è stata portata avanti come se l’oggetto “lingua” non avesse nulla a che fare con il fenomeno “voce”. Questa caratteristica è talmente radicata che, negli anni sessanta del Novecento, lo studio del parlato veniva ancora affrontato a partire dalle sue forme scritte e l’esistenza della poesia orale veniva “scoperta” dai medievisti solo negli anni cinquanta. Eppure le lingue sono fatte di suono, ovvero sono fatte di quello specialissimo “gesto” che rende visibile l’invisibile e che si chiama voce. Che questo gesto sia specialissimo negli ultimi decenni è stato dimostrato tanto da dati provenienti dallo studio dell’ontogenesi del linguaggio, quanto dall’antropogenesi. Tali dati ci permettono di far emergere due fondamentali considerazioni: 1. ogni discorso sulla voce conduce, ovvero obbliga, a un discorso sul corpo. E la questione del corpo, si sa, nella nostra storia culturale è stata notoriamente ostracizzata e conseguentemente trascurata. 2. Ogni discorso sulla voce porta, ovvero impone, un discorso sull’ascolto. Fatto è che il primo ascolto che siamo in grado di sperimentare avviene in utero e riguarda specificamente l’ascolto della voce materna. Come dire? Due “stigma” in uno. In effetti, molti sono i motivi per cui è importante conoscere questa nostra sconosciuta compagna di vita che, appunto, ha specificamente a che fare con la corporeità e con il femminile e che, proprio per questo, riteniamo sia stata per lo più ignorata o considerata epistemologicamente irrilevante. Tali ragioni vanno ricercate nei significativi dati che provengono da saperi quali l’audiopsicofonologia e la psicolinguistica, nonché da una certa psicoanalisi interessata alla matrice sonora della vita psichica. Vanno altresì rintracciati in quell’insieme di conoscenze medico-filosofiche che i saperi contemporanei cui abbiamo appena fatto riferimento hanno anticipato e in qualche modo preparato. In particolare vanno ricercati nella filosofia di stampo vitalista-materialista settecentesca e in Marie-François-Pierre Maine de Biran, suo rappresentante più originale. Si tratta in effetti del filosofo che per primo nella storia ha attirato l’attenzione sul fatto che l’ontogenesi della voce ha direttamente a che fare con la vita uterina e la specifica esperienza di ascolto che nel corso di questa il feto può vivere. Il suo è un punto di vista molto importante. Per molti versi unico e speciale. Egli ci aiuta a comprendere che la voce è come “scolpita” dall’orecchio per cui di essa possiamo dire che si tratta di quel “movimento” che mette in scena ciò che nascostamente accade nel nostro corpo che ascolta-sente, incamera, memorizza, subisce.
Un corpo con cui fare i conti. La voce tra filogenesi e ascolto uterino
Donata Chirico'
2021-01-01
Abstract
La storia degli studi filosofici e non sul linguaggio è caratterizzata da un grande ambiguità. Per secoli è stata portata avanti come se l’oggetto “lingua” non avesse nulla a che fare con il fenomeno “voce”. Questa caratteristica è talmente radicata che, negli anni sessanta del Novecento, lo studio del parlato veniva ancora affrontato a partire dalle sue forme scritte e l’esistenza della poesia orale veniva “scoperta” dai medievisti solo negli anni cinquanta. Eppure le lingue sono fatte di suono, ovvero sono fatte di quello specialissimo “gesto” che rende visibile l’invisibile e che si chiama voce. Che questo gesto sia specialissimo negli ultimi decenni è stato dimostrato tanto da dati provenienti dallo studio dell’ontogenesi del linguaggio, quanto dall’antropogenesi. Tali dati ci permettono di far emergere due fondamentali considerazioni: 1. ogni discorso sulla voce conduce, ovvero obbliga, a un discorso sul corpo. E la questione del corpo, si sa, nella nostra storia culturale è stata notoriamente ostracizzata e conseguentemente trascurata. 2. Ogni discorso sulla voce porta, ovvero impone, un discorso sull’ascolto. Fatto è che il primo ascolto che siamo in grado di sperimentare avviene in utero e riguarda specificamente l’ascolto della voce materna. Come dire? Due “stigma” in uno. In effetti, molti sono i motivi per cui è importante conoscere questa nostra sconosciuta compagna di vita che, appunto, ha specificamente a che fare con la corporeità e con il femminile e che, proprio per questo, riteniamo sia stata per lo più ignorata o considerata epistemologicamente irrilevante. Tali ragioni vanno ricercate nei significativi dati che provengono da saperi quali l’audiopsicofonologia e la psicolinguistica, nonché da una certa psicoanalisi interessata alla matrice sonora della vita psichica. Vanno altresì rintracciati in quell’insieme di conoscenze medico-filosofiche che i saperi contemporanei cui abbiamo appena fatto riferimento hanno anticipato e in qualche modo preparato. In particolare vanno ricercati nella filosofia di stampo vitalista-materialista settecentesca e in Marie-François-Pierre Maine de Biran, suo rappresentante più originale. Si tratta in effetti del filosofo che per primo nella storia ha attirato l’attenzione sul fatto che l’ontogenesi della voce ha direttamente a che fare con la vita uterina e la specifica esperienza di ascolto che nel corso di questa il feto può vivere. Il suo è un punto di vista molto importante. Per molti versi unico e speciale. Egli ci aiuta a comprendere che la voce è come “scolpita” dall’orecchio per cui di essa possiamo dire che si tratta di quel “movimento” che mette in scena ciò che nascostamente accade nel nostro corpo che ascolta-sente, incamera, memorizza, subisce.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.