A chiusura della biografia dedicata al pittore nelle Vite del 1568, Giorgio Vasari segnalava la varietà e la copiosità della produzione poetica di Agnolo Bronzino (1501-1571), pittore di spicco della corte di Cosimo I de’ Medici che, come noto, fu anche prolifico verseggiatore. Il libro indaga la produzione di ispirazione petrarchesca dell’artista, la meno studiata dalla critica, che ha da sempre preferito i suoi capitoli in burla, modellati invece sull’esempio di Burchiello e Berni. Di fondamentale importanza è, viceversa, il ruolo ricoperto dalla poesia seria del pittore, che a sonetti e madrigali affidava il compito di mantenere su un piano elevato i rapporti con i letterati fiorentini e toscani, molti dei quali suoi strettissimi amici sin dalla fine degli anni Venti, dunque da prima dell’ingresso dell’artista a servizio della corte medicea (1539), così pure all’Accademia Fiorentina (1541). Al centro del testo è il manoscritto II. IX. 10 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, copia in pulito del “canzoniere” di Bronzino, raccolta che in realtà non fu mai condotta a termine ma la cui messa a punto impegnò l’artista per almeno tre decenni. La silloge, più corposa rispetto a quella di molti altri poeti del Cinquecento, presenta 266 componimenti, trenta dei quali di altri autori; il pittore non manca, difatti, di inserire i versi dedicatigli da Benedetto Varchi, Antonfrancesco Grazzini, Laura Battiferri, Tommaso Porcacchi e Gherardo Spini, personaggi con i quali praticava giornalmente e che, in vero, non solo influenzarono la sua produzione poetica, ma condizionarono i suoi pensieri sulle arti, incidendo sull’elaborazione di quella tipologia di ritratto che il pittore elaborò per le effigi di Lorenzo Lenzi, Ugolino Martelli, Luca Martini, Pierino da Vinci, e ancora Laura Battiferri. Un ritratto che si potrebbe definire “parlante”, poiché finalizzato a mostrare certo l’aspetto dei personaggi rappresentati, ma ancora le loro virtù interiori, quelle intellettuali e, in alcuni casi, addirittura momenti precisi del loro percorso di vita, attraverso l’inserto di oggetti come libri, sculture e strumenti musicali, la cui funzione non è mai puramente ornamentale. La produzione pittorica dell’artista, in particolare la ritrattistica, trova una sua più profonda spiegazione se inquadrata in questo contesto, poiché le immagini si rivelano frutto di una ricerca non solo formale, ma svolta anche sul piano del significato. Il pregiudizio “classico” di un ritratto pittorico privo di contenuti e durevolezza rispetto alla parola scritta, che all’artista era ben noto per via delle relazioni su menzionate, è sfidato dall’erudito Bronzino con immagini costruite per interagire con il riguardante, davanti ai cui occhi si palesa un racconto che si rivela essere di corpo e di anima. Come la poesia, la pittura può così donare l’eternità ad un personaggio, rendendo immortali le sue fattezze esteriori come la sua esperienza di vita. A fare da sfondo alla produzione poetica e pittorica dell’artista è il rapporto intessuto con Benedetto Varchi, che le rime, e altre fonti testuali e visive prese in esame, hanno rilevato essere la figura di riferimento di Bronzino, in misura ancora maggiore rispetto a quanto già lasciavano presagire gli studi condotti in merito da Alessandro Cecchi. Proprio a Benedetto Varchi, il pittore dedica tanti dei suoi sonetti, in più occasioni a lui riferendosi quale guida (anche spirituale). Il letterato fu, in effetti, il vero maestro del Bronzino poeta, del quale fu anche intimo amico, oltre che committente e promotore della sua carriera artistica. Non sorprenderà scoprire che proprio nella cerchia varchiana Agnolo mosse i suoi primi passi da ritrattista, realizzando l’effigie di Lorenzo Lenzi e ancora quella di Annibal Caro (ora purtroppo dispersa), ed ebbe verosimilmente i suoi precoci contatti con le humanae litterae – in quegli stessi Orti Oricellarî presso i quali frequentava pure Luca Martini, prendendo parte a memorabili discussioni erudite su Dante e Petrarca. Partendo dalle informazioni che si possono desumere dalle rime di Bronzino, così come da altre fonti e testimonianze che ne documentano il percorso (dipinti, documenti d’archivio, testi letterari, e carteggi), il libro prova a fare il punto sull’attività dell’artista, sia quella pittorica che quella poetica, alla luce non solo dei suoi rapporti con i Medici, strada di solito privilegiata dalla critica, ma ancora dei personaggi che egli poté frequentare presso l’Accademia Fiorentina, così di quei poeti, eruditi e letterati che non raramente furono committenti delle sue opere.
Agnolo Bronzino. «La dotta penna al pennel dotto pari»
geremicca, antonio
2013-01-01
Abstract
A chiusura della biografia dedicata al pittore nelle Vite del 1568, Giorgio Vasari segnalava la varietà e la copiosità della produzione poetica di Agnolo Bronzino (1501-1571), pittore di spicco della corte di Cosimo I de’ Medici che, come noto, fu anche prolifico verseggiatore. Il libro indaga la produzione di ispirazione petrarchesca dell’artista, la meno studiata dalla critica, che ha da sempre preferito i suoi capitoli in burla, modellati invece sull’esempio di Burchiello e Berni. Di fondamentale importanza è, viceversa, il ruolo ricoperto dalla poesia seria del pittore, che a sonetti e madrigali affidava il compito di mantenere su un piano elevato i rapporti con i letterati fiorentini e toscani, molti dei quali suoi strettissimi amici sin dalla fine degli anni Venti, dunque da prima dell’ingresso dell’artista a servizio della corte medicea (1539), così pure all’Accademia Fiorentina (1541). Al centro del testo è il manoscritto II. IX. 10 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, copia in pulito del “canzoniere” di Bronzino, raccolta che in realtà non fu mai condotta a termine ma la cui messa a punto impegnò l’artista per almeno tre decenni. La silloge, più corposa rispetto a quella di molti altri poeti del Cinquecento, presenta 266 componimenti, trenta dei quali di altri autori; il pittore non manca, difatti, di inserire i versi dedicatigli da Benedetto Varchi, Antonfrancesco Grazzini, Laura Battiferri, Tommaso Porcacchi e Gherardo Spini, personaggi con i quali praticava giornalmente e che, in vero, non solo influenzarono la sua produzione poetica, ma condizionarono i suoi pensieri sulle arti, incidendo sull’elaborazione di quella tipologia di ritratto che il pittore elaborò per le effigi di Lorenzo Lenzi, Ugolino Martelli, Luca Martini, Pierino da Vinci, e ancora Laura Battiferri. Un ritratto che si potrebbe definire “parlante”, poiché finalizzato a mostrare certo l’aspetto dei personaggi rappresentati, ma ancora le loro virtù interiori, quelle intellettuali e, in alcuni casi, addirittura momenti precisi del loro percorso di vita, attraverso l’inserto di oggetti come libri, sculture e strumenti musicali, la cui funzione non è mai puramente ornamentale. La produzione pittorica dell’artista, in particolare la ritrattistica, trova una sua più profonda spiegazione se inquadrata in questo contesto, poiché le immagini si rivelano frutto di una ricerca non solo formale, ma svolta anche sul piano del significato. Il pregiudizio “classico” di un ritratto pittorico privo di contenuti e durevolezza rispetto alla parola scritta, che all’artista era ben noto per via delle relazioni su menzionate, è sfidato dall’erudito Bronzino con immagini costruite per interagire con il riguardante, davanti ai cui occhi si palesa un racconto che si rivela essere di corpo e di anima. Come la poesia, la pittura può così donare l’eternità ad un personaggio, rendendo immortali le sue fattezze esteriori come la sua esperienza di vita. A fare da sfondo alla produzione poetica e pittorica dell’artista è il rapporto intessuto con Benedetto Varchi, che le rime, e altre fonti testuali e visive prese in esame, hanno rilevato essere la figura di riferimento di Bronzino, in misura ancora maggiore rispetto a quanto già lasciavano presagire gli studi condotti in merito da Alessandro Cecchi. Proprio a Benedetto Varchi, il pittore dedica tanti dei suoi sonetti, in più occasioni a lui riferendosi quale guida (anche spirituale). Il letterato fu, in effetti, il vero maestro del Bronzino poeta, del quale fu anche intimo amico, oltre che committente e promotore della sua carriera artistica. Non sorprenderà scoprire che proprio nella cerchia varchiana Agnolo mosse i suoi primi passi da ritrattista, realizzando l’effigie di Lorenzo Lenzi e ancora quella di Annibal Caro (ora purtroppo dispersa), ed ebbe verosimilmente i suoi precoci contatti con le humanae litterae – in quegli stessi Orti Oricellarî presso i quali frequentava pure Luca Martini, prendendo parte a memorabili discussioni erudite su Dante e Petrarca. Partendo dalle informazioni che si possono desumere dalle rime di Bronzino, così come da altre fonti e testimonianze che ne documentano il percorso (dipinti, documenti d’archivio, testi letterari, e carteggi), il libro prova a fare il punto sull’attività dell’artista, sia quella pittorica che quella poetica, alla luce non solo dei suoi rapporti con i Medici, strada di solito privilegiata dalla critica, ma ancora dei personaggi che egli poté frequentare presso l’Accademia Fiorentina, così di quei poeti, eruditi e letterati che non raramente furono committenti delle sue opere.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.