La Calabria costituisce sotto molti aspetti la faglia d’Europa: un luogo simbolo che dati e rappresentazioni stereotipate definiscono come un ambiente ostile, dove più chiaramente che altrove si vedono gli effetti delle fragilità delle società odierne. Si distingue per il divario di cittadinanza dal resto del Paese (Cersosimo e Nisticò, 2013), è interessata da un pesante calo demografico e tassi di natalità tra i più bassi del mondo, presenta un sistema di welfare locale debole e frammentato (Marcello e Pascuzzi, 2020), povertà diffusa e scarse opportunità occupazionali per i giovani e non solo. Le famiglie sono attraversate da trasformazioni e fragilizzazione, non costituiscono più l’attore supplente alla mancanza dell’intervento pubblico nella risposta ai bisogni dei propri componenti. Come evidenziato anche dai più recenti rapporti sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza (Gruppo CRC, 2021), su diversi indicatori, in Calabria i bisogni dei minori non trovano adeguate risposte pubbliche, i servizi a supporto della genitorialità sono scarsi e l’allontanamento dei figli dal nucleo familiare è di frequente l’inizio di percorsi sine die e, molto spesso, senza traccia (del 41,2% dei minori in affidamento familiare non si conosce la destinazione a conclusione dell’affido; in Italia la percentuale è del 3,6%). In Calabria persistono spinte innovative e resistenze al cambiamento. Questa regione è stata infatti teatro di esperienze che hanno addirittura anticipato la novità legislativa, contribuendo, in qualche modo, ad alimentare l'humus politico-culturale in cui essa è maturata (vedi l'affido ante litteram a Reggio e l'esperienza dei gruppi appartamento a Reggio e a Lamezia). In alcuni ambiti territoriali è in corso già da tempo la sperimentazione del progetto PIPPI. Per altro verso, nei decenni successivi alla introduzione dell'istituto dell'affido, un certo modo di dare attuazione al dato normativo ha permesso, di fatto, la reiterazione di pratiche istituzionalizzanti. A questo riguardo, sono eloquenti le vicende legate alla prima riforma del welfare regionale, con una legge dai tratti fortemente innovativi (la LR n. 5 del 1987), che, in materia di accoglienza di minori, aveva dichiarato fuori legge gli istituti educativo assistenziali che non avessero scelto la strada della riconversione in comunità di tipo familiare ben prima della L.n. 149 del 2001. Nel concreto, però, le ambiguità del regolamento attuativo hanno consentito ai vecchi istituti una rimodulazione solo di facciata. Da quel momento in poi, l'applicazione formale delle regole - e la loro manipolazione nella sostanza - ha permesso il riprodursi e il solidificarsi di un sistema di accoglienza in cui i minori da proteggere sono stati di fatto "dimenticati".
Il volto bifronte dell'accoglienza in Calabria: spinte innovative e resistenze al cambiamento
Sabina Licursi
;Giorgio Marcello
2023-01-01
Abstract
La Calabria costituisce sotto molti aspetti la faglia d’Europa: un luogo simbolo che dati e rappresentazioni stereotipate definiscono come un ambiente ostile, dove più chiaramente che altrove si vedono gli effetti delle fragilità delle società odierne. Si distingue per il divario di cittadinanza dal resto del Paese (Cersosimo e Nisticò, 2013), è interessata da un pesante calo demografico e tassi di natalità tra i più bassi del mondo, presenta un sistema di welfare locale debole e frammentato (Marcello e Pascuzzi, 2020), povertà diffusa e scarse opportunità occupazionali per i giovani e non solo. Le famiglie sono attraversate da trasformazioni e fragilizzazione, non costituiscono più l’attore supplente alla mancanza dell’intervento pubblico nella risposta ai bisogni dei propri componenti. Come evidenziato anche dai più recenti rapporti sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza (Gruppo CRC, 2021), su diversi indicatori, in Calabria i bisogni dei minori non trovano adeguate risposte pubbliche, i servizi a supporto della genitorialità sono scarsi e l’allontanamento dei figli dal nucleo familiare è di frequente l’inizio di percorsi sine die e, molto spesso, senza traccia (del 41,2% dei minori in affidamento familiare non si conosce la destinazione a conclusione dell’affido; in Italia la percentuale è del 3,6%). In Calabria persistono spinte innovative e resistenze al cambiamento. Questa regione è stata infatti teatro di esperienze che hanno addirittura anticipato la novità legislativa, contribuendo, in qualche modo, ad alimentare l'humus politico-culturale in cui essa è maturata (vedi l'affido ante litteram a Reggio e l'esperienza dei gruppi appartamento a Reggio e a Lamezia). In alcuni ambiti territoriali è in corso già da tempo la sperimentazione del progetto PIPPI. Per altro verso, nei decenni successivi alla introduzione dell'istituto dell'affido, un certo modo di dare attuazione al dato normativo ha permesso, di fatto, la reiterazione di pratiche istituzionalizzanti. A questo riguardo, sono eloquenti le vicende legate alla prima riforma del welfare regionale, con una legge dai tratti fortemente innovativi (la LR n. 5 del 1987), che, in materia di accoglienza di minori, aveva dichiarato fuori legge gli istituti educativo assistenziali che non avessero scelto la strada della riconversione in comunità di tipo familiare ben prima della L.n. 149 del 2001. Nel concreto, però, le ambiguità del regolamento attuativo hanno consentito ai vecchi istituti una rimodulazione solo di facciata. Da quel momento in poi, l'applicazione formale delle regole - e la loro manipolazione nella sostanza - ha permesso il riprodursi e il solidificarsi di un sistema di accoglienza in cui i minori da proteggere sono stati di fatto "dimenticati".I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.