centrale, Sulla teoria del trattamento psicoanalitico (1957), tradotto per la prima volta in italiano, e dalla critica mossa del suo autore, Thomas Szasz, al concetto di “trattamento psicanalitico”. Per quanto radicale, tale critica è rimasta inascoltata, dal momento che ancora oggi gli analisti continuano, come dicono, a «sottoporre il paziente a un trattamento psicanalitico», quando in realtà una psicanalisi non comporta nessun “trattamento” ‒ come pure nessun fine stabilito in anticipo ‒ ma solo l’accettare di parlare per associazioni libere, così da favorire l’intercalare dell’inconscio. Una psicanalisi non ha pertanto niente a che fare, né con l’accezione medica del termine trattamento ‒ «tentare di guarire o curare, gestire nell’applicazione di rimedi» ‒, né con la sua etimologia ‒ «dal frequentativo di trahere (participio passato tractus), che significa “tirare, trascinare con forza”». Pur nei limiti della sua posizione liberal e della sua adesione all’ego-psychology, l’articolo di Szasz ‒ autore conosciuto soprattutto per Il mito della malattia mentale, ma di cui vanno ricordati almeno altri due lavori: Il mito della psicoterapia e L’etica della psicoanalisi ‒ si fa apprezzare per gli attacchi mossi all’istituzione psichiatrica, alla medicalizzazione della psicanalisi, al fantasma della “cura psicanalitica” e all’ipocrisia di quegli psicanalisti che proclamano di “aiutare i pazienti a guarire”. La “Premessa” di Luca Salvador mostra con chiarezza, soffermandosi anche sui suoi scritti posteriori, i pregi e i limiti delle concezioni di Szasz. Nella stessa sezione della rivista ‒ “Clinica e tecnica: questioni di metodo” ‒ pubblichiamo un altro importante testo di Ettore Perrella sulla spinosa questione, perfettamente definita dal titolo: “Il sintomo nelle dipendenze. Come può il lavoro in équipe essere psicanalitico?”. Tra le altre cose vi troviamo, in tre righe, questa ficcante concezione delle dipendenze, che di per sé può indicare, all’équipe come all’analista, il cammino su cui orientare il proprio atto: «È perché qualcuno – il padre – non ha mantenuto la parola che il figlio è divenuto dipendente, mettendo il proprio corpo al posto del reale della decisione che il padre non ha presa, quando ha abbandonato il figlio al godimento mortale della Madre onnipotente». E basterebbe da sola questa citazione per comprendere che il ricorso a un “trattamento delle dipendenze” propende per tutt’altro cammino. Ma che dire allora del “trattamento (psicanalitico) del bambino”, se non che ‒ in qualsiasi modo lo si “somministri” ‒ può solo maltrattarlo? “La stanza dei bambini” (con cui si inaugura una nuova sezione della rivista), propone piuttosto d’individuare, attraverso la questione dell’innocenza e della colpa, l’esistenza di un’etica già nell’infanzia (cosa di cui molti possono stupirsi) e dello scandalo radicale che colpisce il bambino (fino alla per-dizione, come mostra Decalogo 1 di Kiéslowski) quando l’adulto, mancando alla propria parola, ne sdegna le domande.
La festa di 8 ½
Lupo, L.
Writing – Original Draft Preparation
2025-01-01
Abstract
centrale, Sulla teoria del trattamento psicoanalitico (1957), tradotto per la prima volta in italiano, e dalla critica mossa del suo autore, Thomas Szasz, al concetto di “trattamento psicanalitico”. Per quanto radicale, tale critica è rimasta inascoltata, dal momento che ancora oggi gli analisti continuano, come dicono, a «sottoporre il paziente a un trattamento psicanalitico», quando in realtà una psicanalisi non comporta nessun “trattamento” ‒ come pure nessun fine stabilito in anticipo ‒ ma solo l’accettare di parlare per associazioni libere, così da favorire l’intercalare dell’inconscio. Una psicanalisi non ha pertanto niente a che fare, né con l’accezione medica del termine trattamento ‒ «tentare di guarire o curare, gestire nell’applicazione di rimedi» ‒, né con la sua etimologia ‒ «dal frequentativo di trahere (participio passato tractus), che significa “tirare, trascinare con forza”». Pur nei limiti della sua posizione liberal e della sua adesione all’ego-psychology, l’articolo di Szasz ‒ autore conosciuto soprattutto per Il mito della malattia mentale, ma di cui vanno ricordati almeno altri due lavori: Il mito della psicoterapia e L’etica della psicoanalisi ‒ si fa apprezzare per gli attacchi mossi all’istituzione psichiatrica, alla medicalizzazione della psicanalisi, al fantasma della “cura psicanalitica” e all’ipocrisia di quegli psicanalisti che proclamano di “aiutare i pazienti a guarire”. La “Premessa” di Luca Salvador mostra con chiarezza, soffermandosi anche sui suoi scritti posteriori, i pregi e i limiti delle concezioni di Szasz. Nella stessa sezione della rivista ‒ “Clinica e tecnica: questioni di metodo” ‒ pubblichiamo un altro importante testo di Ettore Perrella sulla spinosa questione, perfettamente definita dal titolo: “Il sintomo nelle dipendenze. Come può il lavoro in équipe essere psicanalitico?”. Tra le altre cose vi troviamo, in tre righe, questa ficcante concezione delle dipendenze, che di per sé può indicare, all’équipe come all’analista, il cammino su cui orientare il proprio atto: «È perché qualcuno – il padre – non ha mantenuto la parola che il figlio è divenuto dipendente, mettendo il proprio corpo al posto del reale della decisione che il padre non ha presa, quando ha abbandonato il figlio al godimento mortale della Madre onnipotente». E basterebbe da sola questa citazione per comprendere che il ricorso a un “trattamento delle dipendenze” propende per tutt’altro cammino. Ma che dire allora del “trattamento (psicanalitico) del bambino”, se non che ‒ in qualsiasi modo lo si “somministri” ‒ può solo maltrattarlo? “La stanza dei bambini” (con cui si inaugura una nuova sezione della rivista), propone piuttosto d’individuare, attraverso la questione dell’innocenza e della colpa, l’esistenza di un’etica già nell’infanzia (cosa di cui molti possono stupirsi) e dello scandalo radicale che colpisce il bambino (fino alla per-dizione, come mostra Decalogo 1 di Kiéslowski) quando l’adulto, mancando alla propria parola, ne sdegna le domande.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.


