Il saggio ricostruisce la teoria humeana dell’equilibrio di potenza collocandola tra la stagione post-Utrecht e l’esperienza diretta di David Hume negli affari militari e diplomatici, sfociata nei suoi scritti politici. Ne emerge una dottrina che, lungi dall’essere un’invenzione moderna, ha radici antiche e funziona come regola prudenziale per prevenire egemonie e guerre, mediante coalizioni bilancianti anche tra Stati eterogenei per regime. L’originalità dell’interpretazione sta nel nesso strutturale fra potenza e commercio: Hume critica il mercantilismo e la «gelosia del commercio», difende la neutralità e l’espansione degli scambi come moltiplicatori congiunti di ricchezza, civiltà e capacità militare, contro il ricorso disordinato al debito pubblico di guerra. L’esempio storico-politico privilegiato è Guicciardini: la crisi dell’equilibrio italiano tardo-quattrocentesco illumina il rischio di abbandonare il bilanciamento interstatuale in nome di ambizioni miopi e di forze mercenarie. Su questo sfondo, Hume concepisce l’ordine europeo come “società di nazioni” retta da leggi delle genti, senso dell’onore e stabilità dei patti, non come cosmopolitismo giuridico universale: un paradigma che anticipa la “balance-of-power theory“ moderna e alimenta un “internazionalismo conservatore” attento alla sovranità nazionale, alla cooperazione commerciale e alla continuità dei governi liberi.
L’equilibrio di potenza in David Hume, tra economia e politica internazionale
Pupo Spartaco
2025-01-01
Abstract
Il saggio ricostruisce la teoria humeana dell’equilibrio di potenza collocandola tra la stagione post-Utrecht e l’esperienza diretta di David Hume negli affari militari e diplomatici, sfociata nei suoi scritti politici. Ne emerge una dottrina che, lungi dall’essere un’invenzione moderna, ha radici antiche e funziona come regola prudenziale per prevenire egemonie e guerre, mediante coalizioni bilancianti anche tra Stati eterogenei per regime. L’originalità dell’interpretazione sta nel nesso strutturale fra potenza e commercio: Hume critica il mercantilismo e la «gelosia del commercio», difende la neutralità e l’espansione degli scambi come moltiplicatori congiunti di ricchezza, civiltà e capacità militare, contro il ricorso disordinato al debito pubblico di guerra. L’esempio storico-politico privilegiato è Guicciardini: la crisi dell’equilibrio italiano tardo-quattrocentesco illumina il rischio di abbandonare il bilanciamento interstatuale in nome di ambizioni miopi e di forze mercenarie. Su questo sfondo, Hume concepisce l’ordine europeo come “società di nazioni” retta da leggi delle genti, senso dell’onore e stabilità dei patti, non come cosmopolitismo giuridico universale: un paradigma che anticipa la “balance-of-power theory“ moderna e alimenta un “internazionalismo conservatore” attento alla sovranità nazionale, alla cooperazione commerciale e alla continuità dei governi liberi.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.


