La “produzione di verità” che si realizza sotto forma di norme, di enunciati scientifici, di elaborazioni statistiche e demografiche, evidenzia un campo d’intervento di grande rilevanza strategica nelle nuove modalità di controllo degli spostamenti migratori forzati. Questo potere si esprime mediante la costruzione di concetti e rappresentazioni che delimitano la complessità e legittimità dei comportamenti possibili, separando in maniera arbitraria ciò che appartiene all’ordine del “normale” da ciò che è “patologico” (Foucault 1978). È anche tramite il ricorso a queste pratiche discorsive che il mondo occidentale sta realizzando un radicale mutamento di paraDaedalus 2009 Rassegna/Discussioni 1 digma, tendente a costruire nell’opinione pubblica una percezione negativa del rifugiato politico, che giustifichi l’introduzione di misure di controllo sempre più rigide e restrittive (Dal Lago 1999). L’obiettivo di questo articolo è quello di identificare l’apparato discorsivo prodotto a livello macro sui rifugiati e compararlo al sistema di enunciati emerso su questo stesso terreno nella realtà della Locride, in Calabria. La tesi che si vuole dimostrare è che il discorso umanitario messo in evidenza dal sistema internazionale d’asilo, e le implicazioni che esso presenta in termini di inferiorizzazione e/o criminalizzazione dei rifugiati, non riesca a darsi in quest’area geografica come sistema di dominio definitivamente compiuto. Al contrario si tratta di un campo attraversato da discontinuità, da fenomeni anomali ed imprevisti di sovversione semantica, esemplificativi di come alla dimensione locale debba spettare grande rilevanza nello studio dei processi migratori contemporanei. Ispirandoci all’analitica del potere in Foucault, l’ipotesi che formuliamo riguarda infatti l’emergenza di spazi di autonomia che non alludono ad un vero e proprio stato di liberazione, ma il cui valore teorico e politico rimane comunque altissimo (Foucault 1994). Dare centralità a queste conflittualità rafforza in particolare le tesi avanzate da chi interpreta la globalizzazione come un processo altamente instabile, che implica innumerevoli possibilità di intervento e resistenza da parte dei soggetti sulle istanze del potere “imperiale” (Hardt e Negri 2002; Tomlinson 2001). Un fenomeno, quello della globalizzazione, che gli studi postcoloniali ci propongono di ripensare “provincializzando l’Europa”. Restituendo cioè una lettura dello spazio globale che evidenzi la natura conflittuale dei tanti processi che tentano di mettere in discussione la linearità dello sviluppo storico, producendo “eterogeneità temporali” che svolgono un ruolo determinante nella storia del capitale, costringendola a continue torsioni e ad un incessante spostamento (Chakrabarty 2004). Da questo punto di vista, analizzare il discorso che è stato prodotto in materia di rifugiati nell’area calabrese della Locride, è un percorso che abbiamo scelto proprio perché ci dà modo di raccontare una “terra di mezzo” nel Bacino del Mediterraneo. Una terra chiamata a periferizzare ed escludere i rifugiati, ma che è anche la scena entro cui sono emerse soggettività in grado di percepire l’attuazione di questi dispositivi escludenti come contrari ai propri interessi ed al bene comune, e che per questo vi si oppongono. È una lotta per la verità che è ha preso avvio dal concreto confronto con l’altro, realizzatosi nella complessità storica del contesto locale di riferimento. A partire da questi processi reali di incontro fra corpi, si è prodotto Daedalus 2009 Rassegna/Discussioni 2 uno scarto rispetto alla rappresentazione dominante del rifugiato come costo sociale ovvero come fattore di minaccia internazionale, ed è in funzione di questo scarto che si sono diffuse pratiche discorsive che invece riconoscono nell’accoglienza dei rifugiati un’opportunità per il rilancio economico, sostenibile e responsabile, dei territori interessati dalla loro presenza.
Aporie Mediterranee. La governance dei rifugiati e i suoi oppositori
D'AGOSTINO, Mariafrancesca
2009-01-01
Abstract
La “produzione di verità” che si realizza sotto forma di norme, di enunciati scientifici, di elaborazioni statistiche e demografiche, evidenzia un campo d’intervento di grande rilevanza strategica nelle nuove modalità di controllo degli spostamenti migratori forzati. Questo potere si esprime mediante la costruzione di concetti e rappresentazioni che delimitano la complessità e legittimità dei comportamenti possibili, separando in maniera arbitraria ciò che appartiene all’ordine del “normale” da ciò che è “patologico” (Foucault 1978). È anche tramite il ricorso a queste pratiche discorsive che il mondo occidentale sta realizzando un radicale mutamento di paraDaedalus 2009 Rassegna/Discussioni 1 digma, tendente a costruire nell’opinione pubblica una percezione negativa del rifugiato politico, che giustifichi l’introduzione di misure di controllo sempre più rigide e restrittive (Dal Lago 1999). L’obiettivo di questo articolo è quello di identificare l’apparato discorsivo prodotto a livello macro sui rifugiati e compararlo al sistema di enunciati emerso su questo stesso terreno nella realtà della Locride, in Calabria. La tesi che si vuole dimostrare è che il discorso umanitario messo in evidenza dal sistema internazionale d’asilo, e le implicazioni che esso presenta in termini di inferiorizzazione e/o criminalizzazione dei rifugiati, non riesca a darsi in quest’area geografica come sistema di dominio definitivamente compiuto. Al contrario si tratta di un campo attraversato da discontinuità, da fenomeni anomali ed imprevisti di sovversione semantica, esemplificativi di come alla dimensione locale debba spettare grande rilevanza nello studio dei processi migratori contemporanei. Ispirandoci all’analitica del potere in Foucault, l’ipotesi che formuliamo riguarda infatti l’emergenza di spazi di autonomia che non alludono ad un vero e proprio stato di liberazione, ma il cui valore teorico e politico rimane comunque altissimo (Foucault 1994). Dare centralità a queste conflittualità rafforza in particolare le tesi avanzate da chi interpreta la globalizzazione come un processo altamente instabile, che implica innumerevoli possibilità di intervento e resistenza da parte dei soggetti sulle istanze del potere “imperiale” (Hardt e Negri 2002; Tomlinson 2001). Un fenomeno, quello della globalizzazione, che gli studi postcoloniali ci propongono di ripensare “provincializzando l’Europa”. Restituendo cioè una lettura dello spazio globale che evidenzi la natura conflittuale dei tanti processi che tentano di mettere in discussione la linearità dello sviluppo storico, producendo “eterogeneità temporali” che svolgono un ruolo determinante nella storia del capitale, costringendola a continue torsioni e ad un incessante spostamento (Chakrabarty 2004). Da questo punto di vista, analizzare il discorso che è stato prodotto in materia di rifugiati nell’area calabrese della Locride, è un percorso che abbiamo scelto proprio perché ci dà modo di raccontare una “terra di mezzo” nel Bacino del Mediterraneo. Una terra chiamata a periferizzare ed escludere i rifugiati, ma che è anche la scena entro cui sono emerse soggettività in grado di percepire l’attuazione di questi dispositivi escludenti come contrari ai propri interessi ed al bene comune, e che per questo vi si oppongono. È una lotta per la verità che è ha preso avvio dal concreto confronto con l’altro, realizzatosi nella complessità storica del contesto locale di riferimento. A partire da questi processi reali di incontro fra corpi, si è prodotto Daedalus 2009 Rassegna/Discussioni 2 uno scarto rispetto alla rappresentazione dominante del rifugiato come costo sociale ovvero come fattore di minaccia internazionale, ed è in funzione di questo scarto che si sono diffuse pratiche discorsive che invece riconoscono nell’accoglienza dei rifugiati un’opportunità per il rilancio economico, sostenibile e responsabile, dei territori interessati dalla loro presenza.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.