La complessità del principio di eguaglianza negli ordinamenti costituzionali contemporanei potrebbe costituire, con buona probabilità, un argomento di discussione con quelle donne, non occidentali, che vedono nel modello laico e democratico soltanto una delle forme assumibili dal colonialismo imperialistico occidentale. Si tratta di questioni affatto peregrine. Se oggi una parte del mondo cattolico (e qualche ateo devoto) imputa alle femministe c.d. laiciste degli anni Settanta ed alla liberazione sessuale la responsabilità dei "frutti avvelenati" (legalizzazione dell'aborto, velinismo, utilizzo del proprio corpo come merce di scambio persino per accedere negli scranni della rappresentanza politica, edonismo sfrenato, sfacelo della famiglia, perdita dei vincoli di solidarietà) di oggi, significa (tra le molte altre cose) che, ad esempio, le donne italiane del nuovo millennio non sono meno divise delle loro madri. Addurre alla rivoluzione femminista, le colpe di una perdita di senso valoriale e sociale delle donne di oggi è operazione alquanto fuorviante e poco convincente a cui, tuttavia, occorre riconoscere - in una prospettiva dialogante - una qualche pretesa di validità. E per par condicio devo predispormi analogamente nei confronti del femminismo islamico che con la dottrina sociale della chiesa cattolica condivide, al di là di tutte le differenze, il fatto di muoversi all'interno di un paradigma religiosamente orientato. Non sarà che, invece, una delle ragioni per cui, ancor oggi, in Italia qualche milione di donne deve scendere in piazza per rivendicare il pieno rispetto della propria "pari dignità sociale" ha a che fare con il perdurante confessionismo strisciante ed ipocrita della classe politica italiana? E per la messa all'angolo del pensiero laico, tacciato delle peggiori nefandezze? Non sarà che l'antropologia cattolica mal si presta alla destrutturazione delle relazioni di potere tra i generi? In fondo, in Italia, le donne non riescono neanche a trasmettere il proprio cognome ai figli ed alle figlie e molti principi della Carta costituzionale attendono 'pazientemente' di essere presi finalmente in seria considerazione ("Art. 51. Tutti i cittadini dell'uno e dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza. A tal fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini"; art. 117, comma 7. Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo ce impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne ed uomini alle cariche elettive).
"Ci han diviso tra brutte e belle"
LOPRIENO, DONATELLA
2011-01-01
Abstract
La complessità del principio di eguaglianza negli ordinamenti costituzionali contemporanei potrebbe costituire, con buona probabilità, un argomento di discussione con quelle donne, non occidentali, che vedono nel modello laico e democratico soltanto una delle forme assumibili dal colonialismo imperialistico occidentale. Si tratta di questioni affatto peregrine. Se oggi una parte del mondo cattolico (e qualche ateo devoto) imputa alle femministe c.d. laiciste degli anni Settanta ed alla liberazione sessuale la responsabilità dei "frutti avvelenati" (legalizzazione dell'aborto, velinismo, utilizzo del proprio corpo come merce di scambio persino per accedere negli scranni della rappresentanza politica, edonismo sfrenato, sfacelo della famiglia, perdita dei vincoli di solidarietà) di oggi, significa (tra le molte altre cose) che, ad esempio, le donne italiane del nuovo millennio non sono meno divise delle loro madri. Addurre alla rivoluzione femminista, le colpe di una perdita di senso valoriale e sociale delle donne di oggi è operazione alquanto fuorviante e poco convincente a cui, tuttavia, occorre riconoscere - in una prospettiva dialogante - una qualche pretesa di validità. E per par condicio devo predispormi analogamente nei confronti del femminismo islamico che con la dottrina sociale della chiesa cattolica condivide, al di là di tutte le differenze, il fatto di muoversi all'interno di un paradigma religiosamente orientato. Non sarà che, invece, una delle ragioni per cui, ancor oggi, in Italia qualche milione di donne deve scendere in piazza per rivendicare il pieno rispetto della propria "pari dignità sociale" ha a che fare con il perdurante confessionismo strisciante ed ipocrita della classe politica italiana? E per la messa all'angolo del pensiero laico, tacciato delle peggiori nefandezze? Non sarà che l'antropologia cattolica mal si presta alla destrutturazione delle relazioni di potere tra i generi? In fondo, in Italia, le donne non riescono neanche a trasmettere il proprio cognome ai figli ed alle figlie e molti principi della Carta costituzionale attendono 'pazientemente' di essere presi finalmente in seria considerazione ("Art. 51. Tutti i cittadini dell'uno e dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza. A tal fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini"; art. 117, comma 7. Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo ce impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne ed uomini alle cariche elettive).I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.