In questo contributo vorrei sollevare la questione del rapporto tra linguaggio verbale e scrittura prendendo spunto dalle riflessioni – e dalla pratica – di Peirce sulla natura diagrammatico/operatoria della logica, e della scienza in generale (e anzitutto a partire dal suo sistema detto dei grafi esistenziali). Per questo, proporrò anzitutto due modelli generali sul rapporto tra scrittura e linguaggio (che chiamerò – con poca fantasia – ‘debole’ e ‘forte’): nel primo, la scrittura è totalmente dipendente dalla verbalità, di cui si pone semplicemente come registrazione e supporto mnemonico; nel secondo, essa assurge a maggiore autonomia in virtù delle proprie potenzialità peculiari, non condivise dalla lingua verbale. Su questo sfondo, presenterò la posizione di Peirce come una versione assolutamente radicale del modello “forte”: dopo aver illustrato molto velocemente alcune proprietà del sistema dei grafi, mi rivolgerò alle sue osservazioni sul rapporto tra matematica e logica, per poter meglio definire la sua idea di diagrammaticità della scienza. Infine, discuterò questa posizione rispetto al problema presentato all’inizio, ponendomi alcune domande, quali: il fatto che il sistema peirceano sia di fatto post-linguistico inficia le sue ambizioni ad essere a-linguistico? E ancora: si può ancora chiamare “scrittura” qualcosa che pretende di staccarsi dal linguaggio? Tali domande, per essere anche solo affrontate, richiedono che ci si ponga su un piano estremamente generale, relativo ai rapporti tra linguaggio e cognizione.
Una scrittura a-linguistica? Qualche riflessione a partire da Peirce
FADDA, EMANUELE
2016-01-01
Abstract
In questo contributo vorrei sollevare la questione del rapporto tra linguaggio verbale e scrittura prendendo spunto dalle riflessioni – e dalla pratica – di Peirce sulla natura diagrammatico/operatoria della logica, e della scienza in generale (e anzitutto a partire dal suo sistema detto dei grafi esistenziali). Per questo, proporrò anzitutto due modelli generali sul rapporto tra scrittura e linguaggio (che chiamerò – con poca fantasia – ‘debole’ e ‘forte’): nel primo, la scrittura è totalmente dipendente dalla verbalità, di cui si pone semplicemente come registrazione e supporto mnemonico; nel secondo, essa assurge a maggiore autonomia in virtù delle proprie potenzialità peculiari, non condivise dalla lingua verbale. Su questo sfondo, presenterò la posizione di Peirce come una versione assolutamente radicale del modello “forte”: dopo aver illustrato molto velocemente alcune proprietà del sistema dei grafi, mi rivolgerò alle sue osservazioni sul rapporto tra matematica e logica, per poter meglio definire la sua idea di diagrammaticità della scienza. Infine, discuterò questa posizione rispetto al problema presentato all’inizio, ponendomi alcune domande, quali: il fatto che il sistema peirceano sia di fatto post-linguistico inficia le sue ambizioni ad essere a-linguistico? E ancora: si può ancora chiamare “scrittura” qualcosa che pretende di staccarsi dal linguaggio? Tali domande, per essere anche solo affrontate, richiedono che ci si ponga su un piano estremamente generale, relativo ai rapporti tra linguaggio e cognizione.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.