Francis Wey è un viaggiatore che accarezza con sguardo particolarmente profondo natura, uomini e cose che gli sono intorno, sguardo che gli consente di mettere a fuoco e mostrare particolari che nessun altro avrebbe notato e descritto. Sostenitore entusiasta dell’arte fotografica che in quegli anni muove i primi passi, chiosa il “mondo” calabrese con grande precisione e chiarezza, spinto da arguta curiosità nei confronti di un mondo arcaico e per lui inconsueto che intende rappresentare fedelmente. Egli osserva e compone la realtà con parole immediate, ne consegue una «scrittura fotografica» garanzia di oggettività, contro il metodo riflessivo della «scrittura pittorica» che avrebbe finito inevitabilmente col modificare il carattere del modello. Nelle pagine del suo diario di viaggio in Calabria troviamo descrizioni capaci di fermare il reale in fotogrammi che riprendono vita sotto gli occhi del lettore. Così si rinnovano la pelle olivastra che tendeva al bronzo di una donna dal collo liscio e perfetto come quello della Venere di Milo; i fianchi delle montagne di colore giallo metallico come la tinta dell’oro o del rame annerito da macchie acide; le acque di una palude dense come metallo, quasi piombo e stagno fusi insieme dai raggi del sole. La scrittura di Francis Wey si muove sullo sfondo sempre presente dell’eredità culturale classica, gioca con lo spirito caustico della sua «francesità» e sempre rispetta l’umanità con cui viene a contatto.

Prefazione

SOLE, Giovanni
2013-01-01

Abstract

Francis Wey è un viaggiatore che accarezza con sguardo particolarmente profondo natura, uomini e cose che gli sono intorno, sguardo che gli consente di mettere a fuoco e mostrare particolari che nessun altro avrebbe notato e descritto. Sostenitore entusiasta dell’arte fotografica che in quegli anni muove i primi passi, chiosa il “mondo” calabrese con grande precisione e chiarezza, spinto da arguta curiosità nei confronti di un mondo arcaico e per lui inconsueto che intende rappresentare fedelmente. Egli osserva e compone la realtà con parole immediate, ne consegue una «scrittura fotografica» garanzia di oggettività, contro il metodo riflessivo della «scrittura pittorica» che avrebbe finito inevitabilmente col modificare il carattere del modello. Nelle pagine del suo diario di viaggio in Calabria troviamo descrizioni capaci di fermare il reale in fotogrammi che riprendono vita sotto gli occhi del lettore. Così si rinnovano la pelle olivastra che tendeva al bronzo di una donna dal collo liscio e perfetto come quello della Venere di Milo; i fianchi delle montagne di colore giallo metallico come la tinta dell’oro o del rame annerito da macchie acide; le acque di una palude dense come metallo, quasi piombo e stagno fusi insieme dai raggi del sole. La scrittura di Francis Wey si muove sullo sfondo sempre presente dell’eredità culturale classica, gioca con lo spirito caustico della sua «francesità» e sempre rispetta l’umanità con cui viene a contatto.
2013
978-88-498-3811-4
Vita materiale; Folklore; Tradizioni popolari
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.11770/163416
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