Riscoperto dalla critica solo nel corso del Novecento – specialmente grazie agli studi di Federico Zeri prima, di Iris Cheney e Antonio Vannugli poi – Jacopino del Conte fu artista di spicco nella Roma di metà Cinquecento. Apprezzato soprattutto per le sue qualità di ritrattista, che gli valsero la protezione di illustri personaggi della corte pontificia, Jacopino fu tra gli artisti maggiormente segnati dall’esempio di Michelangelo, al quale si accostò prima a Firenze, attraverso lo studio delle Sagrestia Nuova, poi a Roma, aggiornandosi sulla Volta Sistina e sul Giudizio Universale. Il legame col Buonarroti, inoltre, pare sciogliersi come una sorta di discepolato almeno fino al 1547, anno in cui i rapporti tra i due si interruppero definitivamente. Fino a quel momento Jacopino studia da vicino le opere del Buonarroti, del quale conosce approfonditamente anche il corpus grafico, ed esegue, aspetto non di poco conto, un ritratto di Michelangelo. È questo un privilegio, come noto, concesso solo a pochissimi artisti: Giuliano Bugiardi, Daniele da Volterra e, per finire, Leone Leoni. Obiettivo di questo articolo è tentare di ricostruire la prima attività di Jacopino del Conte tra il 1530, anno della morte di Andrea del Sarto e della conseguente partenza dell’artista dalla bottega del maestro fiorentino, e il 1538, anno in cui Jacopino firma i primi due affreschi dell’Oratorio di san Giovanni Decollato a Roma. Si tratta di anni densissimi in cui il giovane pittore arricchisce la sua formazione sartesca di nuovi spunti, aprendosi gradualmente alle novità di Michelangelo. Attraverso le opere che gli sono state attribuite dalla critica – in questo periodo l’unico dipinto documentato è, infatti, la Pala dei Palafrenieri eseguita con Leonardo Grazia nel 1534 – è possibile seguire la graduale maturazione dell’artista: Jacopino approda a Michelangelo attraverso l’insegnamento di Andrea del Sarto a Firenze, per poi passare ad un michelangiolismo di più stretta osservanza a Roma, in opere come la Madonna con Bambino e san Giovannino di Belgrano. È in questo momento, in anni prossimi alla realizzazione della decorazione dell’Oratorio di san Giovanni Decollato, che Jacopino dipinge forse il suo capolavoro giovanile, la Madonna col Bambino, San Giovannino e Santa Elisabetta della National Gallery of Art di Washington, un’opera nella quale, superati gli scolasticismi dei primi esercizi sulle opere del Buonarroti, il linguaggio del maestro è definitivamente assimilato. Un’accelerazione significativa che giustifica gli esiti dell’Oratorio, nel quale la personalità di Jacopino si definisce ulteriormente: seguendo l’esempio di Perino del Vaga, rientrato a Roma dopo gli anni genovesi, e come il suo conterraneo Francesco Salviati, Jacopino cambia radicalmente il suo approccio a Michelangelo, che legge ora attraverso l’esempio della pittura raffaellesca, mitigando la terribilità del Buonarroti attraverso la grazie di Raffaello. Si tratta, dunque, di un michelangiolismo più “leggero” che raggiunge apici importanti, riconosciuti anche dallo scettico Vasari, nel Trasporto di Cristo al sepolcro, eseguito per la Cappella Elvino in Santa Maria del Popolo, e nella Deposizione destinata all’Oratorio. L’articolo, tuttavia, sfiora solamente questa “svolta” raffaellesca, concentrandosi essenzialmente sul Jacopino giovane, nel tentativo di restituire coerenza alla fisionomia dell’artista e di interpretare il suo percorso, il cui avvio appare, tutt’oggi, pieno di incognite. La scarsità di documenti sull’artista, la sua propensione all’eclettismo – oltre che una produzione soprabbondante spalmata su più decenni – hanno, infatti, reso arduo il compito della critica, che sovente ha paperi discordanti sul percorso del pittore, che presente un catalogo corposissimo e incoerente, specialmente per la ritrattistica, e in merito al quale ancora molto resta da fare.
Da Andrea del Sarto a Michelangelo. Note a Jacopino del Conte e approfondimenti sulla sua attività giovanile
Antonio Geremicca
2018-01-01
Abstract
Riscoperto dalla critica solo nel corso del Novecento – specialmente grazie agli studi di Federico Zeri prima, di Iris Cheney e Antonio Vannugli poi – Jacopino del Conte fu artista di spicco nella Roma di metà Cinquecento. Apprezzato soprattutto per le sue qualità di ritrattista, che gli valsero la protezione di illustri personaggi della corte pontificia, Jacopino fu tra gli artisti maggiormente segnati dall’esempio di Michelangelo, al quale si accostò prima a Firenze, attraverso lo studio delle Sagrestia Nuova, poi a Roma, aggiornandosi sulla Volta Sistina e sul Giudizio Universale. Il legame col Buonarroti, inoltre, pare sciogliersi come una sorta di discepolato almeno fino al 1547, anno in cui i rapporti tra i due si interruppero definitivamente. Fino a quel momento Jacopino studia da vicino le opere del Buonarroti, del quale conosce approfonditamente anche il corpus grafico, ed esegue, aspetto non di poco conto, un ritratto di Michelangelo. È questo un privilegio, come noto, concesso solo a pochissimi artisti: Giuliano Bugiardi, Daniele da Volterra e, per finire, Leone Leoni. Obiettivo di questo articolo è tentare di ricostruire la prima attività di Jacopino del Conte tra il 1530, anno della morte di Andrea del Sarto e della conseguente partenza dell’artista dalla bottega del maestro fiorentino, e il 1538, anno in cui Jacopino firma i primi due affreschi dell’Oratorio di san Giovanni Decollato a Roma. Si tratta di anni densissimi in cui il giovane pittore arricchisce la sua formazione sartesca di nuovi spunti, aprendosi gradualmente alle novità di Michelangelo. Attraverso le opere che gli sono state attribuite dalla critica – in questo periodo l’unico dipinto documentato è, infatti, la Pala dei Palafrenieri eseguita con Leonardo Grazia nel 1534 – è possibile seguire la graduale maturazione dell’artista: Jacopino approda a Michelangelo attraverso l’insegnamento di Andrea del Sarto a Firenze, per poi passare ad un michelangiolismo di più stretta osservanza a Roma, in opere come la Madonna con Bambino e san Giovannino di Belgrano. È in questo momento, in anni prossimi alla realizzazione della decorazione dell’Oratorio di san Giovanni Decollato, che Jacopino dipinge forse il suo capolavoro giovanile, la Madonna col Bambino, San Giovannino e Santa Elisabetta della National Gallery of Art di Washington, un’opera nella quale, superati gli scolasticismi dei primi esercizi sulle opere del Buonarroti, il linguaggio del maestro è definitivamente assimilato. Un’accelerazione significativa che giustifica gli esiti dell’Oratorio, nel quale la personalità di Jacopino si definisce ulteriormente: seguendo l’esempio di Perino del Vaga, rientrato a Roma dopo gli anni genovesi, e come il suo conterraneo Francesco Salviati, Jacopino cambia radicalmente il suo approccio a Michelangelo, che legge ora attraverso l’esempio della pittura raffaellesca, mitigando la terribilità del Buonarroti attraverso la grazie di Raffaello. Si tratta, dunque, di un michelangiolismo più “leggero” che raggiunge apici importanti, riconosciuti anche dallo scettico Vasari, nel Trasporto di Cristo al sepolcro, eseguito per la Cappella Elvino in Santa Maria del Popolo, e nella Deposizione destinata all’Oratorio. L’articolo, tuttavia, sfiora solamente questa “svolta” raffaellesca, concentrandosi essenzialmente sul Jacopino giovane, nel tentativo di restituire coerenza alla fisionomia dell’artista e di interpretare il suo percorso, il cui avvio appare, tutt’oggi, pieno di incognite. La scarsità di documenti sull’artista, la sua propensione all’eclettismo – oltre che una produzione soprabbondante spalmata su più decenni – hanno, infatti, reso arduo il compito della critica, che sovente ha paperi discordanti sul percorso del pittore, che presente un catalogo corposissimo e incoerente, specialmente per la ritrattistica, e in merito al quale ancora molto resta da fare.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.