Come è possibile che l’essere diventi nulla? E’ semplicemente contraddittorio – sia sotto il profilo logico che ontologico -‐ pensare il divenire dell’essere. Pensare, cioè, che le cose che sono – gli enti – svaniscano e diventino ni-‐ ente. E tuttavia, la realtà ci mostra che le cose sono contingenti. Che oscillano, cioè, tra l’essere e il nulla. L’intera storia della metafisica occidentale non è nient’altro che la storia del nichilismo. In quanto tutti noi non facciamo altro che pensare e vivere le cose, come se le cose e noi stessi fossimo niente. E’ questa – come dice Severino -‐ la “follia” dell’Occidente. Dalla quale è possibile “immunizzarci” presupponendo l’eternità degli enti. Ma la natura di questa presupposizione è tale – osserva Cantarano – che ci consente di “salvare” logicamente gli enti, a patto che essi siano abrogati ontologicamente. Non solo. Ma se è l’incontrovertibile verità dell’essere che salva “epistemicamente” i fenomeni eternizzandoli, è pur sempre nello sfondo oscuro e indeterminato della “doxa” che la presupposizione ontologica si dà. Insomma, se per poter salvare gli enti Severino ha scartato l’ipotesi teologica della trascendenza, è costretto contraddittoriamente – e paradossalmente -‐ a farvi nuovamente ricorso. Cos’altro è, in definitiva, “credere” nell’eternità degli enti, se non presupporre onto- teologicamente che il non essere non è? Per trattenere il dileguare delle cose nel nulla, per salvarle dall’insensatezza del divenire è necessario – scrive Cantarano -‐ religare le cose alla fede onto-‐teologica dell’eternità degli enti. Altro dispositivo di salvezza, altra strategia soteriologica non c’è.
La follia del divenire e la fede nell'eternità degli enti: Emanuele Severino
CANTARANO, Giuseppe
2010-01-01
Abstract
Come è possibile che l’essere diventi nulla? E’ semplicemente contraddittorio – sia sotto il profilo logico che ontologico -‐ pensare il divenire dell’essere. Pensare, cioè, che le cose che sono – gli enti – svaniscano e diventino ni-‐ ente. E tuttavia, la realtà ci mostra che le cose sono contingenti. Che oscillano, cioè, tra l’essere e il nulla. L’intera storia della metafisica occidentale non è nient’altro che la storia del nichilismo. In quanto tutti noi non facciamo altro che pensare e vivere le cose, come se le cose e noi stessi fossimo niente. E’ questa – come dice Severino -‐ la “follia” dell’Occidente. Dalla quale è possibile “immunizzarci” presupponendo l’eternità degli enti. Ma la natura di questa presupposizione è tale – osserva Cantarano – che ci consente di “salvare” logicamente gli enti, a patto che essi siano abrogati ontologicamente. Non solo. Ma se è l’incontrovertibile verità dell’essere che salva “epistemicamente” i fenomeni eternizzandoli, è pur sempre nello sfondo oscuro e indeterminato della “doxa” che la presupposizione ontologica si dà. Insomma, se per poter salvare gli enti Severino ha scartato l’ipotesi teologica della trascendenza, è costretto contraddittoriamente – e paradossalmente -‐ a farvi nuovamente ricorso. Cos’altro è, in definitiva, “credere” nell’eternità degli enti, se non presupporre onto- teologicamente che il non essere non è? Per trattenere il dileguare delle cose nel nulla, per salvarle dall’insensatezza del divenire è necessario – scrive Cantarano -‐ religare le cose alla fede onto-‐teologica dell’eternità degli enti. Altro dispositivo di salvezza, altra strategia soteriologica non c’è.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.